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Le scelte decisive per il futuro dell’Unione europea

, di Stefano Feltri
Dall’indagine sulle auto elettriche cinesi a batteria alle regole per i nuovi servizi digitali, alla integrazione delle spese militari: le analisi dell’Institute for European Policymaking sulle politiche più importanti in vista delle elezioni europee

Le elezioni europee in molti paesi sono rilevanti soprattutto perché permettono ai partiti di governo e di opposizione di misurare i rapporti di forza senza conseguenze domestiche immediate. In Italia questo approccio al voto dell’8 e 9 giugno è stato esasperato dalla scelta di alcuni leader politici—inclusa la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni—di candidarsi al Parlamento europeo per portare voti alle rispettive liste ma senza intenzione di accettare il seggio.  

Eppure mai come questa volta, l’Unione europea si trova a dilemmi in termini di policy che riguardano direttamente la vita dei cittadini: se accelerare o rallentare la transizione ecologica; se inseguire una autonomia strategica - che vuol dire meno scambi con altri paesi - o se fidarsi ancora della globalizzazione; se e quanto aumentare la spesa militare; come gestire una promessa di allargamento a un paese in guerra, l’Ucraina, e ad altri che potrebbero essere attaccati dalla Russia; come creare un sistema di regole che tuteli cittadini e imprese europee di fronte all’arrivo dell’intelligenza artificiale.  

Tutti questi temi sono al centro delle analisi e degli eventi dell’Institute for European Policymaking, il think tank interno alla Bocconi fondato da Mario Monti.  

Non è però sempre facile capire che posizione hanno i partiti negli Stati membri sui vari dossier e se rappresentino davvero quelle dei cittadini.  

In un recente webinar di IEP@BU, Laurenz Günther, un research fellow, ha presentato il suo paper che analizza le risposte di oltre 27.000 cittadini europei e di quasi 1.000 parlamentari. I dati sono del 2009, e rivelano quel “gap di rappresentanza” che ha favorito l’ascesa dei partiti populisti negli ultimi anni. Secondo i risultati dell’analisi di Günther, i partiti tradizionali hanno posizioni più progressiste dei loro potenziali elettori su temi come l’immigrazione, e in generale sui temi culturali, mentre sono un po’ più a destra sui temi economici. Molti hanno predetto che i populisti sono destinati a fallire, al contrario Günther spiega che i suoi risultati indicano che “hanno il potenziale per dominare la politica europea nel lungo periodo”.  

Le scelte più urgenti 

Nell’immediato, però, ci sono altre linee di divisione nella politica europea, oltre a quella tra partiti populisti o sovranisti e partiti tradizionali che ha dominato le precedenti elezioni del 2019.  

Una riguarda il rapporto con la Cina: in una serie di ricerche, lo IEP@BU ha studiato l’avanzata delle auto elettriche cinesi nel mercato europeo, che ha spinto la presidente della Commissione uscente, Ursula von der Leyen, ad aprire una indagine sui sussidi pubblici erogati da Pechino perché potrebbero violare la normativa europea.

Come ricostruisce Daniel Gros in un suo recente Policy Brief, però, le differenze di prezzo tra auto elettriche a batteria cinesi e quelle analoghe europee dipendono più da fattori industriali che dai sussidi. Un dazio europeo per azzerare il differenziale di prezzo con i concorrenti cinesi equivarrebbe a 10.000 euro di sovrapprezzo per ogni vettura, con un danno per i consumatori europei di 20 miliardi di euro.

Il rapporto con la Cina è complesso, perché le imprese europee dipendono dalle forniture cinesi per i beni intermedi cruciali: la Germania, uno dei paesi che è più dialogante con Pechino, importa il 22 per cento delle componenti necessarie al settore informatico ed elettronico da Pechino (sulla dipendenza di Germania e Italia dalla Cina c’è il Policy Brief di Samina Sultan).

I due campi nei quali quale le istituzioni europee dovranno prendere le decisioni più difficili saranno la sicurezza e le politiche climatiche. In un'analisi pubblicata da IEP@BU Francesco Nicoli spiega che i sondaggi rivelano un grande supporto dei cittadini europei all’integrazione delle spese militari e della difesa in generale. Ma sono molto scettici verso soluzioni poco ambiziose e verso compromessi al ribasso.

La Commissione guidata da Ursula Von der Leyen, però, è riuscita soltanto ad avviare il processo con un piccolo, quasi simbolico, impegno a un investimento militare congiunto da 1,5 miliardi. Se nella prossima Commissione ci sarà un commissario dedicato specificamente alla difesa, quello sarà il segnale di una maggiore ambizione sul tema.

Il Green Deal è stato al centro degli impegni delle istituzioni europee e degli Stati membri nella legislatura 2019-2024, poi il contesto geopolitico ha imposto i temi della sicurezza come più urgenti di quelli climatici. Anche se non si registra un drastico cambio di atteggiamento dell’opinione pubblica sull’ambiente, come ricostruisce Silvia Pianta, sarà più difficile nei prossimi anni attuare politiche ambiziose sul clima, nonostante sia sempre più urgente.

Un Policy Brief per lo IEP@BU di Carlo Altomonte e Giorgio Presidente offre una possibile strategia per perseguire obiettivi climatici in un contesto meno favorevole che in passato: spostare i sussidi green dal livello nazionale a quello europeo, farebbe aumentare la produttività del 30 per cento.

Sulla sfida digitale, l’Unione europea ha approvato nei mesi scorsi nuove regole che stanno già avendo impatto sulle grandi piattaforme. In un articolo per IEP@BU, Francesco Decarolis avverte che gli effetti di questi interventi possono aumentare la concorrenza o creare distorsioni difficili da prevedere: molto dipende da chi ha accesso ai dati che servono agli algoritmi, soprattutto a quelli per addestrare l’intelligenza artificiale.

Purtroppo, sul digitale l’Ue sembra destinata a limitarsi a fare le regole, senza produrre molta innovazione, almeno finché non uscirà dalla “trappola della tecnologia media” (mid-technology trap), come viene definita nel report delle tre università riunite nello European Policy Analysis Group, di cui fa parte IEP@BU.

Vent’anni fa, le principali imprese per ricerca e sviluppo negli Stati Uniti erano Ford, Pfizer e General Motors. Oggi sono tutte aziende software: Alphabet, Meta, Microsoft. In Europa invece erano Mercedes-Benz, Siemens, Volkswagen e oggi sono Volkswagen, Mercedes-Benz e Bosch, nessuna di queste è alla frontiera dell’innovazione digitale.

Sarà molto difficile reperire risorse finanziarie e politiche per spingere l’Unione europea a fare passi avanti significativi contemporaneamente su tutti questi fronti, che richiedono investimenti massicci e implicano inevitabili resistenze da chi subisce le conseguenze del cambiamento. Per scegliere le priorità, dove investire di più subito, serve che gli elettori si esprimano, alle elezioni dell’8 e 9 giugno.  

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