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Opinioni Elezioni Europee

Cosa può fare l’Europa per i giovani

, di Pietro Galeone
Tra il 1985 e il 2019 i salari dei lavoratori più anziani sono cresciuti quasi il doppio di quelli dei più giovani. L’Ue ha molti programmi per correggere questi squilibri, ma molto resta ancora da fare

Nel 1960, secondo un rapporto dell’Istat recuperato dal Corriere Fiorentino, con uno stipendio medio di 47mila lire, un operaio spendeva circa il 25% del suo stipendio per pagare un affitto a Firenze. Oggi, quella cifra è salita notevolmente, superando spesso i due terzi dello stipendio per i più giovani. Basti pensare che in una città come Milano è pressoché impossibile trovare anche solo un monolocale a meno di 700 euro al mese, a fronte di retribuzioni che per oltre la metà dei giovani non arrivano ai 1000 euro mensili. 

Certo, c’è un tema di aumento degli affitti in generale e soprattutto nelle grandi città, ma al tempo stesso c’è un tema di retribuzione d’ingresso per i giovani, che negli ultimi decenni è cresciuta sempre meno. Basti pensare che tra il 1985 e il 2019 l’age wage gap (cioè la differenza tra gli stipendi degli under-35 e degli over-55) è aumentata del 96%. Praticamente gli stipendi dei lavoratori più senior sono cresciuti quasi il doppio rispetto a quelli dei giovani. 

Per far fronte a questi temi l’Unione europea negli ultimi anni ha messo in campo programmi specificamente dedicati ai giovani. Le più celebri di queste sono la Youth Guarantee (la Garanzia Giovani) – che offre opportunità di orientamento, formazione e inserimento al lavoro per i giovani – e il programma Erasmus che consente ai giovani europei di trascorrere un periodo di studio o esperienza professionale all’estero.  

A queste si aggiungono altri programmi, forse meno noti, che hanno però altrettanta importanza. Cruciale per esempio è l’obiettivo della Child Guarantee di ridurre il rischio di povertà per i 18 milioni di bambini a rischio di esclusione sociale. Attraverso misure dedicate alla riduzione della povertà educativa, alla tutela della salute, all’inclusione sociale, l’Ue mira a garantire maggiori e uguali opportunità per i più giovani europei. In questo modo si tenta di rompere il circolo vizioso che porta un background di povertà familiare a tradursi in una condanna futura per i minori. 

L’equità generazionale si inserisce in un quadro di forte attenzione che la Commissione uscente ha dedicato ai temi sociali, attraverso lo European Pillar of Social Rights.  

Ai giovani sono inoltre stati dedicati il 2022 come European Year of Youth e il 2023 come European Year of Skills. In particolare sul potenziamento delle skills, cioè le competenze, l’Ue ha posto ingenti somme dei fondi strutturali e straordinari sotto il cappello del Next Generation EU. Questo perché le competenze non solo arricchiscono il bagaglio personale degli individui, ma ne aumentano anche l’occupabilità e la produttività a beneficio dell’intero sistema economico.  

Produttività che deve però andare di pari passo con aumenti salariali per i lavoratori, in una strada a doppio senso: da un lato la produttività deve tradursi in benefici a cascata per i lavoratori affinché sia sostenibile nel lungo periodo; dall’altro lato salari maggiori possono a loro volta stimolare la produttività, attraendo talenti dall’estero e innescando un meccanismo virtuoso. Meccanismo che invece oggi funziona in senso opposto, spingendo molti giovani ad emigrare in cerca di salari più alti e prospettive di carriera migliori.  

Nel 2022, gli under-35 rappresentano il 44% degli espatri registrati dall’Italia (ma si stima che siano molti di più includendo coloro che mantengono la residenza formalmente in Italia).5 

Il fragile equilibrio sociale  

Grazie a un mercato del lavoro in crescita, e in parte grazie agli sforzi della Commissione e della Garanzia Giovani, i dati dell’occupazione giovanile in Italia migliorano. Il tasso di NEET (giovani che non lavorano e non si formano) è ai minimi storici da quando esiste l’indicatore, e cioè da prima della crisi del 2008.  

Ancora resta molto da fare e i dati sono allarmanti, soprattutto su salari e qualità dell’istruzione come già detto, ma il trend è in miglioramento. E sono aree su cui l’Ue può intervenire e sta intervenendo: si pensi alla direttiva sul salario minimo approvata nel 2022, alla recente legislazione sul lavoro tramite piattaforme e sull’intelligenza artificiale, temi che impatteranno sempre più i giovani lavoratori.  

Questi sono temi cruciali sui quali si gioca il futuro dell’Ue, ma ancora prima su cui si giocano queste elezioni del Parlamento Europeo. Il tema generazionale non è solo un tema di age wage gap o di distribuzione della ricchezza, è un tema di sostenibilità dell’intera architettura sociale ed economica dell’Europa, di ripagabilità del debito che si è fatto in questi anni per sostenere i costi della pandemia e della ripartenza.  

Per questo votare alle elezioni per le nuove generazioni diventa non solo un impegno civico, ma una necessità morale. Lasciare le decisioni su questi temi a chi vuole ignorare le difficoltà dei giovani, o peggio a chi tenta di dipingerli come capro espiatorio in situazioni di tensione sociale come nella transizione ecologica, sarebbe un danno grave per i giovani europei e per tutta l’Ue.  

PIETRO GALEONE

Bocconi University
Dipartimento di Economia

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