
Ottant’anni dopo: la guerra nella mente degli italiani
Nel 2025 si celebrano gli 80 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale ma a giudicare dalla percezione degli Italiani e delle loro preoccupazioni, sembrerebbe che sia passato molto meno tempo.
Uno studio condotto dall’Osservatorio Monitoring Democracy del Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche, in collaborazione con SWG, ha sottoposto a un campione rappresentativo di Italiani una serie di domande per comprendere la percezione dell’attuale contesto geopolitico e l’eredità lasciata della Seconda guerra mondiale.
Se consideriamo molto preoccupati gli Italiani che considerano la situazione geopolitica globale “altamente instabile” (equivalente a un punteggio di 70 o più in una scala da 1 a 100), rileviamo che questo gruppo rappresenta più del 50% della popolazione. La percentuale aumenta considerevolmente tra i più giovani (18-24 anni) dove i molto preoccupati salgono al 63,4%, e tra gli over 64 (60,3%). I più preoccupati in assoluto sono gli studenti con il 71,3%. La percentuale varia anche in base al colore politico: agli estremi si collocano gli elettori della Lega (30,9%) e quelli di Alleanza Verdi-Sinistra (62,9%). Infine, è interessante rilevare che gli Italiani indecisi o che intendono votare scheda bianca risultano i più preoccupati( 69,1%).
Tra i principali fattori di instabilità vi è il timore di un nuovo conflitto mondiale. Alla domanda su quali potrebbero essere le cause di un eventuale nuovo conflitto globale, gli italiani hanno individuato elementi che in parte rievocano quelli scatenanti la Seconda guerra mondiale. I fattori di rischio che emergono come predominanti sono i conflitti tra singoli stati e il protagonismo dei loro leader politici, insieme alla competizione tra questi Paesi per il controllo delle risorse economiche e naturali (molti italiani menzionano gas, petrolio, semiconduttori). Come ottant’anni fa, anche oggi il ruolo e l’ambizione dei singoli stati sembrano essere percepiti come la principale minaccia alla stabilità globale. Al contrario, l’estremismo ideologico e religioso appare oggi meno rilevante in confronto alla Seconda guerra mondiale. Anche la tenuta socio economica e le tensioni tra classi sociali vengono percepite come meno determinanti per un’eventuale escalation bellica. Se disoccupazione, povertà, e tensioni sociali furono fattori che contribuirono all’ascesa dei totalitarismi e al secondo conflitto mondiale, oggi tali elementi vengono raramente citati come potenziali cause di una guerra.
A conferma di questa tendenza, gli stati nazionali non sono percepiti solo come i principali fattori di rischio, ma anche come gli attori più decisivi per prevenire un nuovo conflitto. Più del 50% degli Italiani ritiene che le nazioni militarmente più rilevanti (Stati Uniti, Cina, e Russia) siano i principali garanti di stabilità, mentre solo il 17% riconosce questo ruolo a a istituzioni sovranazionali e intergovernative come l’Unione Europea e le Nazioni Unite. Questi dati, unitamente a quelli precedenti, sembrano contraddire una delle principali eredità della Seconda guerra mondiale, ovvero la creazione di istituzioni internazionali votate al mantenimento della pace e della cooperazione tra stati. È interessante, comunque, notare come la fiducia in queste istituzioni come principali garanti di stabilità varia in base all’appartenenza politica, raggiungendo il picco massimo tra gli elettori del Partito Democratico (24,8%) e il minimo tra gli elettori di tutti e tre i principali partiti del centrodestra (15,5%).
Guerra o pace: come la pensano gli italiani?

Il ruolo delle istituzioni internazionali, e in particolare dell’Unione Europea, assume invece maggiore rilevanza quando si guarda alla necessità di creare una difesa militare comune. Alla luce dell'eredità della Seconda guerra mondiale, che favorì la cooperazione economica e politica tra i Paesi del Vecchio Continente ma non l'integrazione militare, emerge che il 73,4% degli Italiani ritiene importante compiere questo passo ulteriore. La necessità di una difesa europea comune si rafforza ancor più in virtù della scarsa fiducia degli Italiani nella capacità del governo nazionale di proteggere il paese dalle nuove minacce, e in particolare dalle minacce digitali (cyber attacks) (in una scala da 1 a 5, quasi la metà degli italiani attribuisce un punteggio di 1 o 2).
Se da un lato gli Italiani auspicano un rafforzamento della difesa comune europea, d’altro lato mostrano una scarsa fiducia nei confronti dell’efficacia di altri ambiti di intervento delle organizzazioni internazionali. Ad esempio, solo il 43,2% degli Italiani ritiene che i progetti di cooperazione nei Paesi in via di sviluppo debbano essere finanziati dalle Nazioni Unite, mentre il restante 56,8% preferirebbe che fossero gestiti direttamente dal governo Italiano. Anche in questo caso, le differenze politiche sono marcate: tra gli elettori di sinistra il sostegno alle Nazioni Unite sale al 66%, mentre tra gli elettori di destra si dimezza.
A ottant’anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, le paure e le aspettative della popolazione testimoniano un rapporto complesso con l’eredità del conflitto. Se da un lato permangono elementi critici di continuità, come il timore delle ambizioni degli Stati nazionali, dall’altro emergono trasformazioni significative, con un ruolo meno centrale attribuito all’ideologia e alle tensioni socioeconomiche. L’Unione Europea, nata anche per prevenire nuovi conflitti tra i suoi membri, è oggi percepita come un attore chiave nella difesa comune, mentre appare fondamentale per le istituzioni internazionali, e le Nazioni Unite in particolare, lavorare sulla capacità di dimostrarsi efficace. L’eredità della guerra, dunque, resta un riferimento imprescindibile, ma il suo significato e le sue implicazioni continuano a ridefinirsi nel tempo.