Uno sguardo a se stessi e uno al futuro. Cosi' si sceglie il corso di studi
Quando incontriamo Annalisa Prencipe, è la vigilia della Graduation Ceremony, la giornata di proclamazione dei laureati triennali, il momento che considera il "più gratificante". In quanto direttore della Scuola Universitaria, ovvero la scuola a cui fanno riferimento i dieci corsi di laurea "undergraduate" dell'ateneo, la docente, titolare della KPMG Chair in Accounting, è chiamata a tenere il discorso conclusivo. "Nello speech voglio ricordare agli studenti i valori trasmessi nei tre anni trascorsi e cerco di essere di ispirazione per il prosieguo degli studi", commenta la docente. "Ma la parte più emozionante è l'incontro con i genitori e le famiglie provenienti da tutto il mondo che gioiscono per un traguardo che non è affatto scontato di questi tempi".
Questi stessi studenti, poco più di tre anni fa, durante gli eventi di orientamento, chiedevano consiglio a lei su quale strada intraprendere. Quali sono gli strumenti che aiutano nella scelta di un corso di studi universitario?
Gli studenti di questa generazione Z sono aperti e curiosi, veri cittadini del mondo, abili nel navigare in internet e pertanto sommersi di dati e stimoli come nessuno lo è mai stato... eppure spesso disorientati. Devono essere aiutati a selezionare i numerosi input che ricevono e a trasformarli in informazioni rilevanti, utili per le decisioni. Per questo, in Bocconi esistono diverse iniziative, in primis l'Open Day, l'evento che raccoglie la maggior parte delle adesioni, durante il quale spieghiamo che cosa si studia esattamente in ogni corso di laurea, il nostro modello didattico, le prospettive professionali e, nei limiti del possibile, li portiamo in visita all'ateneo. Le attività di orientamento iniziano però sempre prima, già dal terzo anno delle superiori, con attività mirate a studenti sempre più curiosi intellettualmente e pronti a mettersi in gioco, per esempio con iniziative on campus, laboratori, contest, o con la Summer School che si svolge ogni anno a luglio.
Fornire informazioni utili alle decisioni è proprio uno degli obiettivi dell'accounting, la sua disciplina di riferimento come ricercatrice e docente... Ci sono altre analogie tra questi due mondi?
Sì, è così. In entrambi i casi ci troviamo in una fase nella quale è sempre più difficile indirizzare le decisioni nel modo migliore perché aumenta la complessità del contesto circostante. Per esempio, il fatto che oggi il numero di corsi di laurea possibili sia molto cresciuto rispetto a un tempo ha reso ancora più difficile la scelta. È diventato più complicato non farsi distrarre dalle mode, dai social, dai peer, dal sentito dire rispetto alle maggiori prospettive che offre un indirizzo piuttosto che un altro.
Per chi si rendesse conto di aver sbagliato indirizzo, che margine c'è per cambiare scelta?
In Bocconi non sono tanti gli studenti che chiedono di cambiare corso, ma è giusto che questa esigenza sia considerata. Noi diamo questa possibilità dopo il primo anno e, in alcuni casi, anche dopo il secondo. Abbiamo quattro programmi (due in italiano e due in inglese) che hanno tre semestri uguali, la cosiddetta base comune e tra i quali dunque ci si può spostare con più facilità fino al terzo semestre di studi. Credo che nel futuro l'università debba essere sempre più flessibile in questo senso, offrendo basi di conoscenza comuni e trasversali, in modo da lasciare ai ragazzi il tempo di maturare meglio le proprie scelte prima di incamminarsi in una determinata direzione. Purtroppo vedo che alcune scuole superiori stanno andando in senso contrario, promuovendo fin da subito una maggiore specializzazione. Può tornare utile dare uno sguardo ai modelli di formazione in altri Paesi, in Europa e negli USA, dove gli studenti si specializzano più avanti nel tempo, nei Major o nei Track, dopo aver affrontato un'ampia parte generale, spesso coniugando discipline diverse che spaziano dalle scienze sociali a quelle naturali o alle discipline umanistiche.
Qual è la domanda ricorrente che le rivolgono gli studenti durante i momenti di orientamento?
Tanti mi chiedono se, non avendo mai studiato economia, la Bocconi possa fare per loro. Mi colpisce questa domanda perché significa che esiste in loro l'idea di dover essere già preparati per venire qui. Non è così. Per esempio, noi nel test di ammissione non diamo nulla per scontato e non valutiamo le conoscenze nozionistiche bensì la capacità di analisi e di ragionamento, il pensiero critico, la logica, perché queste sono le skill necessarie per avere successo nello studio. L'altro aspetto che noto è che i ragazzi vogliono sapere prima esattamente che cosa si studierà, le materie teoriche, i laboratori pratici, gli sbocchi professionali, le possibilità di stage. Non c'è nulla di male, però suggerisco anche di non chiudersi troppo in una prospettiva e di darsi la possibilità di lasciarsi sorprendere dalle novità di alcune discipline che possono conoscere durante il percorso di studi.
È così che lei si è imbattuta nell'accounting?
Sì e no. Negli anni Ottanta avevo scelto di studiare in un istituto per programmatori, una scuola sperimentale e innovativa; eravamo tra i primissimi studenti delle superiori in Italia ad affrontare un percorso orientato all'informatica e al coding. Di fatto, una via di mezzo tra un liceo scientifico e un istituto economico per programmatori. Un certo indirizzo dunque l'avevo già, ma la curiosità per l'economia è cresciuta ulteriormente durante alcuni incontri di orientamento organizzati dalla Scuola Sant'Anna di Pisa, dove ebbi l'opportunità di incontrare anche docenti della Bocconi. La decisione di specializzarmi nell'accounting è maturata ancora più tardi, durante l'università. Non era dunque una scelta pianificata e non poteva esserlo perché nel frattempo l'importanza e i contorni di questa disciplina sono cambiati moltissimo. Dalle rilevazioni in partita doppia, a una disciplina che si occupa di informazioni (la si potrebbe definire una branca dell'information economics) e, come tale, aiuta le imprese a prendere decisioni ponderate. Tanti pensano che sia una disciplina noiosa; in realtà non è affatto così. È una disciplina tutt'altro che meccanicistica e che ha un impatto fondamentale sull'allocazione delle risorse e sulla creazione di valore. Inoltre, se fino a pochi anni fa l'obiettivo principale di molte imprese era la massimizzazione degli utili, oggi le aziende puntano alla sostenibilità e questo significa che anche le informazioni contabili si mescolano con dati e informazioni che arrivano da altre fonti. Il finanziario si deve parlare con il non-finanziario. È un esercizio che allarga molto lo sguardo di chi fa accounting e, nello stesso tempo, accresce la possibilità di incidere sulla vita delle aziende e sulle loro prospettive future.
In conclusione, un corso di laurea si sceglie più con la testa o con il cuore?
Con entrambi. Ci vuole un occhio rivolto ai propri interessi e uno verso il futuro. Credo che parlare di passioni in senso stretto sia fuorviante perché queste possono tranquillamente essere coltivate anche fuori da un ambito di studi universitari. Bisogna guardare oggettivamente dove il mondo sta andando; un laureato che non trova lavoro è uno spreco di risorse per il paese, per la società, per il sistema che l'ha formato. Le inclinazioni, insomma, devono trovare una risposta in quello che si fa ma possono essere anche formate allo scopo. È anche vero che in questo momento il mondo del lavoro ci vorrebbe tutti data scientist o esperti di intelligenza artificiale o sostenibilità... Ci vuole buon senso insomma, trovando la giusta sintesi tra quello che si è e quello che il mondo del lavoro richiede.
Domani nel suo speech come congederà gli studenti che si laureano?
Con tre raccomandazioni. La prima è di mantenere l'apertura al cambiamento, di non vivere le novità come una minaccia, ma come un'opportunità. Il mondo è sempre più mutevole, non bisogna avere paura di mettersi in gioco e cogliere le tante opportunità che emergono dal cambiamento, anche da quello più dirompente. La seconda è di non smettere mai di imparare. Quella del life long learning è una dimensione nella quale ormai tutti noi siamo immersi, nelle università, nelle aziende, ma direi anche nella vita quotidiana. Non è questione di essere giovani o meno, è così per tutti e lo sarà sempre di più. La terza, e forse più importante, è di guardare al bene comune, qualsiasi cosa faranno. Non perdano l'abitudine di considerare l'impatto che le loro decisioni hanno sulle persone, sulla società, sull'ambiente e sull'eredità che lasceranno alle generazioni future.