Il Covid dopo il Covid
Dopo aver vissuto due anni e mezzo di pandemia da Covid19 ci ritroviamo un'altra volta alla linea di partenza, pronti ad affrontare un nuovo anno accademico, un nuovo anno scolastico per i nostri figli e un nuovo anno di relazioni sociali e di vita, nel senso più ampio del termine. La pandemia ci ha ferito, malamente, ci ha fatto toccare con mano la sofferenza della malattia con quasi 6.5 milioni di morti (171911 in Italia) e oltre 600 milioni di casi confermarti nel mondo. Ci ha fatto conoscere l'oscurità della solitudine e dell'isolamento, la paura dell'incertezza e l'inutilità - alle volte - della pianificazione. Ma siamo forti, e ripartiamo, chi con più slancio e chi con più timore, ma tutti ben consapevoli dell'equilibrio fragile in cui ci troviamo. Dai dati del WHO, il numero dei casi nell'ultima settimana di Agosto è sceso del 16% rispetto alla settimana precedente, e così anche il numero dei decessi a livello globale che è sceso del 13%, sebbene nella regione del Sud-Est Asiatico si sia registrato un aumento. I numeri, tuttavia, vanno presi con le pinze, dato che in molti paesi le politiche di testing sono progressivamente mutate e così anche la compliance delle persone a segnalare eventuali positività.
La variante Omicron, con i suoi alti tassi di trasmissibilità e con la sua ridotta morbosità, specialmente tra i vaccinati e tra coloro che non presentano co-morbidità, rimane ancora la variante maggiormente prevalente, con un 99.6% dei casi sequenziati a livello globale negli ultimi 30 giorni. Le restrizioni sono andate via via scomparendo nella maggior parte dei paesi, con la riduzione anche nel numero di giorni di isolamento - che passa da 7 a 5 in Italia – per i casi asintomatici; da 21 a 14 giorni per i casi che non si negativizzano e l'abolizione dell'obbligo di mascherina, ad eccezione che sui mezzi di trasporto e nelle strutture ospedaliere e nelle RSA. Abbiamo tutti voglia di riiniziare e di dimenticarci della pandemia e di quello che ci ha portati a fare (green pass incluso) ma se lo facessimo sarebbe il più grave degli errori. Le campagne vaccinali lanciate a livello globale sono lontane dall'essere on track e il global imperative che si era prefissato WHO di vaccinare almeno il 70% delle persone in tutti i paesi entro Giugno 2022 rimane decisamente ancora fuori portata. Le diseguaglianze nella distribuzione dei vaccini persistono e più del 30% della popolazione mondiale non ha ricevuto nemmeno una dose di vaccino, per non parlare dei paesi poveri dove solamente il 21% delle persone è stato vaccinato. Anche nei paesi industrializzati, percentuali significative di popolazione continuano a rifiutare la vaccinazione. In Italia oltre 6.8ML di persone non sono vaccinate e una percentuale molto bassa degli over 60 anni aventi diritto ha ricevuto la quarta dose di vaccino (5.2% nei 60-69; 9.5% nei 70-79 e 29.4% negli 80+). L'esitanza vaccinale è cresciuta in modo allarmante negli ultimi due decenni, soprattutto nei paesi industrializzati, alimentata forse da scarse politiche di comunicazione e da una medicina sul territorio che purtroppo ha perso di valore, lasciando a social media e comunicazioni tra pari il compito dell'informazione. Queste sacche di suscettibili unite alla bassa protezione dei vaccini attuali contro l'infezione, mantengono alta la trasmissione e, di conseguenza, la nascita di nuove varianti di SARS-CoV-2. Fondamentale tenere alta la sorveglianza e continuare il monitoraggio sulla circolazione del virus.
La situazione rimane complessa. Due anni e mezzo di pandemia dovrebbero averci insegnato che anche quando le cose sembrano andare meglio, di fatto non possiamo stare tranquilli e abbassare la guardia. Il virus è ancora in evoluzione, la prospettiva da cui lo osserviamo deve continuare ad essere quella globale e il nostro comportamento rimane il principale determinante. In aggiunta, diverse altre sfide necessitano la nostra attenzione, tra cui l'impatto dell'infezione sulla salute fisica e psicologica di medio-lungo periodo, anche nei bambini, gli effetti della pandemia sulle coperture vaccinali per le altre malattie infettive (morbillo in primis ma anche influenza) e lo sviluppo di strategie per aumentare l'adesione alle politiche di prevenzione che vengono messe in campo dai decisori sanitari. Se non bastasse, da Maggio di quest'anno si contano oltre 54000 casi di vaiolo delle scimmie (monkeypox) in 100 paesi, 787 casi registrati in Italia. Sebbene l'infezione abbia caratteristiche molto diverse rispetto a SARS-CoV-2, le lezioni che abbiamo imparato durante la pandemia dovrebbero tornare utili. In particolare, serve una buona e ben organizzata sorveglianza sull'evoluzione della situazione epidemiologica, la definizione di strategie di comunicazione più chiare ed efficaci di quelle che abbiamo visto in passato che riportino a livelli alti la fiducia delle persone nei confronti di tutto il sistema sanitario e, non ultima, l'attenzione ai comportamenti individuali o dei gruppi, e alle loro determinanti. L'incertezza che caratterizza l'arrivo di un'infezione 'nuova' in un territorio è un fatto imprescindibile. Sta a noi mettere a sistema tutte le competenze e trovare un modo efficace per contenerla.