Processare Netanyahu e Gallant? Giuridicamente la richiesta è legittima
Una nuova bomba, per fortuna questa volta solo metaforica, è deflagrata sul conflitto tra Israele e Hamas che dallo scorso ottobre sta insanguinando la Striscia di Gaza. A lanciarla, dal suo ufficio dell’Aja, il procuratore della Corte penale internazionale Karim Ahmad Khan, che ha richiesto mandati d’arresto per il premier israeliano Benjamin Netanyahu, il ministro della difesa Yoav Gallant e i leader di Hamas. Una decisione che ha scatenato le reazioni sdegnate di Israele, in primis, e poi degli Stati Uniti e di altri paesi, ma anche alcuni consensi. Al di là delle conseguenze politiche, quali sono le basi giuridiche su cui si fonda questa richiesta e quali le possibilità che si concretizzi? Lo spiega, in questa intervista, Paola Mariani, professoressa associata di diritto europeo e diritto internazionale presso il Dipartimento di studi giuridici dell’Università Bocconi.
Si tratta di una richiesta giuridicamente fondata e, se sì, in base a quali articoli?
Come dovrebbe attuarsi praticamente la disposizione? Cioè, chi dovrebbe “arrestare” Netanyahu e il ministro (oltre ai leader di Hamas) e condurli in aula?
Gli Stati che hanno ratificato lo Statuto della Corte penale internazionale (ad oggi 123) hanno l’obbligo di arrestare le persone su cui pende un mandato di arresto internazionale. Lo Stato in cui avviene l’arresto dovrà estradare gli accusati in Olanda affinché possano essere giudicati dalla Corte che ha sede all’Aja.
È corretto porre sullo stesso piano un leader e un ministro di uno Stato sovrano e quelli di un’organizzazione come Hamas?
Ai sensi dello Statuto della Corte è legittimo. Chiunque che rivesta o meno ruoli formali dello Stato ed è responsabile di genocidio, crimini di guerra, crimini contro l’umanità e aggressione ne deve rispondere. Se ciò non fosse si avrebbe l’impunità degli uni o degli altri.
Ci sono esempi recenti e meno recenti di casi simili e a che cosa hanno portato?
Il primo caso di condanna della Corte è stato nel 2012. Da allora si sono aperti procedimenti nei confronti di capi di Stato o militari o paramilitari per crimini commessi in Africa anche nel caso di conflitti interni. Tuttavia, il processo può essere tenuto solo in presenza dell’imputato e spesso è difficoltoso eseguire il mandato di arresto internazionale. Quando il processo si svolge e si arriva ad una condanna di detenzione questa viene eseguita in uno dei Paesi membri. Per esempio, nel luglio 2019 Bosco Ntaganda è stato condannato per crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi nella Repubblica Democratica del Congo. La Corte l’ha condannato a 30 anni di reclusione. La sentenza è stata confermata in appello. Ora Bosco Ntaganda sta scontando la pena in un carcere belga.
Quali sono gli elementi che hanno portato alla richiesta del procuratore?
Il Procuratore agisce quando ha elementi di prova sufficienti per chiedere il processo delle persone accusate di avere commesso i crimini indicati nello Statuto. Nel caso del mandato di arresto nei confronti del capo del governo e del ministro della difesa israeliani e dei capi di Hamas i fatti contestati sono ampiamente documentati. Peraltro, in questo caso il Procuratore ha chiesto un parere ad un gruppo di esperti indipendenti proprio sulla correttezza del suo operato. La relazione del gruppo di esperti ha stabilito che i mandati di arresto erano supportati da sufficienti prove.
Perché invece in altri conflitti non si assiste a richieste di questo genere?
La Corte è stata accusata di non agire nei confronti dei membri permanenti del Consiglio di Sicurezza e concentrarsi sui crimini commessi negli Stati africani. Tuttavia negli ultimi anni si sono aperte indagini anche nei confronti della Russia e recentemente per i crimini commessi in Afganistan durante l’occupazione degli Stati Uniti e dei suoi alleati. L’Afganistan ha ratificato lo Statuto e questo rende la Corte competente per i crimini commessi sul suo territorio. Nel caso dell’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia, nonostante entrambi i Paesi non abbiano ratificato lo Statuto, l’Ucraina ha chiesto alla Corte penale internazionale di intervenire per i crimini commessi dalla Russia in territorio ucraino. La richiesta di un Paese non membro alla Corte determina la sua giurisdizione. Per tale motivo si è potuto emettere un mandato di cattura internazionale nei confronti di Putin.