Vittorio Gallinari, un campione con la laurea
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Una fase della finale vincente di Coppa Campioni del 1988 |
Mike D’Antoni, Bob McAdoo, Dino Meneghin, le stelle, Vittorio Gallinari lo specialista, il difensore chiamato ad annullare l’avversario più forte, l’idolo dei tifosi che ne amavano l’impegno e la dedizione, ma soprattutto l’efficacia. Quattro scudetti, due Coppe Campioni, quattro Coppe Italia, una Coppa delle Coppe, una Coppa Korac, una Coppa Intercontinentale, un Campionato mondiale militare. E la laurea in Bocconi, obiettivo fortemente voluto e inseguito, per il quale, a un certo punto, Gallinari voleva lasciare il basket. “Per qualche mese avevo deciso di smettere di giocare”, dichiara Gallinari, “poi furono l'allenatore Dan Peterson e D’Antoni a farmi tornare sui miei passi. Peterson mi concedeva di saltare l’allenamento mattutino per poter presenziare alle lezioni. Gli devo molto”.
Ma come mai un atleta nei suoi anni migliori, in una squadra fortissima, era disposto a mollare tutto per conseguire la laurea? “Non ho mai visto il basket come la mia attività per la vita”, confida Gallinari, “studiare era fondamentale, anche se molto faticoso. Inoltre era diventata anche una sfida con me stesso che non volevo perdere, da portare avanti con lo stesso impegno che mettevo in campo”. Laurea che poi si è rivelata fondamentale una volta terminata la carriera di giocatore. “Ho svolto tre anni di praticantato in uno studio di commercialista”, riprende Gallo, come era chiamato da compagni e tifosi, “poi mi sono dedicato a consulenze nel campo dell’associazionismo sportivo, un settore in piena espansione alla metà degli anni ’90. L’essermi laureato mi ha dato enormi vantaggi, sia per quanto appreso in aula sia perché il poter vantare una laurea in un’università prestigiosa come la Bocconi ha rappresentato un bel biglietto da visita rispetto ad altri che si affacciavano in questa professione. Ora faccio il procuratore sportivo, rappresento giocatori italiani, europei e americani”.
Molti sostengono che gli sport di squadra abbiano anche una valenza formativa, aiutino a lavorare in team, anticipando situazioni che poi si possono ritrovare in azienda. È questa una delle ragioni che hanno spinto la Bocconi a promuovere una strutturata attività sportiva, con il varo della Polisportiva. “Sono completamente d’accordo”, riprende Gallinari, “soprattutto il basket è uno sport dove le qualità individuali vengono esaltate dal lavoro di squadra. Ricordo che Peterson veniva chiamato spesso dalle aziende per spiegare ai propri manager come si gestisce un team”.
L’ex commissario tecnico della nazionale, Valerio Bianchini, si è attivato per promuovere anche in Italia un campionato di basket riservato alle università, sul modello Ncaa, che ha ottenuto il beneplacito del Coni. Per molti è però un obiettivo di difficile realizzazione.
“L’iniziativa è lodevole, vedo però due problemi. Il primo riguarda gli impianti, l’università di Georgetown, per fare un esempio, ha un palazzo per il basket di 20 mila posti, in Italia non ne esiste uno simile. Non si tratta ovviamente di replicare tali dimensioni, ma non so quante siano le università italiane che hanno un palazzetto, anche piccolo, nel proprio campus. Un altro è rappresentato dalla struttura stessa del modello sportivo”, continua Gallinari,“in Italia esistono le società dilettantistiche, che svolgono l’attività di base, mentre negli Usa tale ruolo è svolto dalla scuola e poi dall’università”.
Abbiamo visto il Gallinari giocatore-studente, quindi il Gallinari procuratore sportivo. Rimane il Gallinari padre di Danilo, un ragazzo considerato tra le maggiori promesse del basket italiano, da poche settimane legatosi per tre anni alla stessa Olimpia, magari anche lui con una laurea da inseguire. “Mio figlio ha solo 17 anni, è presto per decidere”, risponde l’ex campione, “ma oggi fare il giocatore professionista è ancora più impegnativo che ai miei tempi. La soluzione migliore potrebbe essere l’università negli Stati Uniti, dove l’impegno sui libri e quello in campo marciano quasi di pari passo. In Bocconi invece la vita è molto più difficile...”.