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Conosci te stesso, in acqua

, di Andrea Celauro
Silvia Pozzi, una formazione da ricercatrice in biologia e un master Mihmep alle spalle, è anche una campionessa di apnea. Mettendo insieme i due mondi, ha validato e oggi applica ai manager un metodo di autoconoscenza usato per far vincere gli sportivi di ogni disciplina

Una vita che si sdoppia, ma le cui due metà si completano a vicenda, continuamente. Una vita fuori e dentro l’acqua: fuori, come professionista e ricercatrice; dentro, come apneista e campionessa del mondo master di apnea dinamica indoor (più tutta una serie di altri titoli). Ed è in questo alternarsi di ruoli, di interessi e di passioni che emergono nella sua vita, che è racchiusa la natura di Silvia Pozzi: “Il mio nemico è la noia, non so stare ferma, non ne sono mai stata capace”, racconta.

In questo suo alternare e fondersi di interessi, Silvia si laurea in biologia molecolare, ottiene un PhD tra Italia e Stati Uniti, ma poi sente che la ricerca fine a se stessa inizia a starle stretta: “Era la mia vita, ma sentivo che poteva esserci qualcosa di più. Chi fa ricerca è concentrato sul proprio microambiente, mentre io volevo avere uno sguardo sulla governance della ricerca stessa. Così ho deciso di fare un master, il Mihmep di SDA Bocconi (Master in International Healthcare Management, Economics and Policy), che, con una prospettiva internazionale, mi ha aiutato ad avere una visione più ampia e a capire l’impatto della ricerca a livello di sistemi sanitari. Mi mancava ‘la messa terra’ e il master me l’ha fornita”. Da lì, un lavoro per un ente pubblico della Regione Emilia-Romagna e poi l’attività presso la Fondazione Telethon. Fino alla prima ondata del Covid, quando sente il bisogno di una nuova svolta: “Mi sono resa conto che volevo approfondire anche altri aspetti. In quel periodo avevo già cominciato a fare apnea e ho incontrato due persone, Alessandro Vergendo e Rosa Rita Gagliardi, apneisti, formatori e soprattutto mental coach di grandi sportivi, che utilizzano un metodo legato all’apnea per supportare sportivi di altissimo livello (tra cui medagliati olimpici) a raggiungere i propri obiettivi (il metodo si chiama Deep Inside)”.

Da lì, da buona ricercatrice quale è, Silvia decide di creare un protocollo di validazione utilizzando gli strumenti delle neuroscienze (protocollo che ha chiamato Mind the Deep), per confermare scientificamente ciò che già vedeva funzionare con gli sportivi e poter estendere quel metodo all’ambito manageriale. “Lo abbiamo testato in Bocconi presso l’Mba part-time, perché manager che di giorno lavorano e la sera devono studiare e fare esami sono sottoposti a uno stress simile a quello dei grandi sportivi. Il metodo ha mostrato miglioramenti significativi sull’autoconsapevolezza (self-awareness), sul focus attentivo, sulla gestione dello stress e sulla regolazione emotiva. Tutti aspetti che i manager condividono con gli sportivi”.

Già, ma come è entrata l’apnea nella vita di Silvia? “In maniera piuttosto casuale, in verità”, racconta Silvia Pozzi. “Io sono montagnina per vicissitudini familiari (tra l’altro, detiene il record di più giovane scalatrice del Monte Bianco, conquistato a 13 anni, NDR.). A sette anni, una delle due volte che i miei mi hanno portata al mare d’estate, ho fatto una prova di apnea. Sono rimasta sott’acqua più degli altri, ma la cosa è finita lì e non mi sono mai appassionata. Poi, da adulta, 11 anni fa, un’amica mi ha coinvolta in un corso di apnea e lì è scoppiato l’amore”. Il problema “è che l’amore non era corrisposto”, racconta. “All’inizio ho fatto una fatica enorme anche solo per imparare a fare 25 metri in apnea dinamica. Poi è scattato un click”. In questo, l’aiuto arriva anche dal metodo Deep Inside del quale viene a conoscenza.

“L’apnea è meravigliosa”, spiega. “Una delle cose più spettacolari è che il nostro corpo subisce delle variazioni fisiologiche riconducibili al riflesso di immersione, che è proprio dei mammiferi: ad esempio, il battito rallenta, il sangue affluisce prevalentemente a cuore e polmoni e se rimani in ascolto il suono sordo del cuore ti riempie l’anima”. Però l’apnea agonistica, quella che a Silvia ha portato diverse medaglie, è anche una gara a spostare sempre più avanti il limite dei metri percorsi, ad avvicinarsi il più possibile al punto critico, allo svenimento, senza raggiungerlo, pena la squalifica: “Dobbiamo uscire ‘puliti, come diciamo noi. Il livello di ipossia che raggiungiamo durante l’apnea è alto ma compatibile con la vita, altrimenti saremmo tutti morti, tuttavia è tale da impattare più o meno pesantemente sui tre sensi che abbiamo a disposizione in acqua (vista, udito, tatto) e questo crea una dimensione ancora più intima”. Un dialogo ancora più stretto con se stessi “che è quasi un’esperienza metafisica. Il mondo esterno viene escluso e ci sei solo tu”.