Un'altra musica negli affari esteri
Qualche scatolone è ancora in viaggio in mezzo all'Atlantico, in attesa di completare il lungo tragitto che da Buenos Aires porta a Kuwait City. A destinazione lo aspetta il legittimo proprietario, Giuseppe Scognamiglio, classe 1967, ex console generale nella città argentina e, da qualche settimana, trasferitosi proprio nella capitale del Kuwait per ricoprire il ruolo di Ambasciatore italiano. Ufficiale di Marina, con diversi incarichi all'attivo da L'Avana a Il Cairo ma anche all'interno della Farnesina, Scognamiglio è al primo incarico come massimo rappresentante istituzionale dell'Italia in un paese straniero. Un punto di partenza ma anche il primo traguardo di un percorso iniziato molto ma molto distante. «In effetti appena prima di cominciare la Bocconi ero convinto di voler fare il compositore e direttore d'orchestra (è diplomato in pianoforte, nda)», racconta l'ambasciatore, «e anche quando ho scelto economia non pensavo alla carriera diplomatica. Poi l'interesse è cresciuto strada facendo al punto che dopo la laurea e il servizio militare in Marina mi è stato chiaro che volevo lavorare in questo ambito».
La laurea in economia come cambia il suo approccio alla professione rispetto a un percorso più tradizionalmente legato alle scienze politiche o alla giurisprudenza?
È un valore aggiunto molto importante. Il ruolo di ambasciatore oggi ha sempre più aspetti manageriali da assolvere e in questo la formazione aziendalistica è utile. Organizzazione del lavoro, gestione delle risorse umane, bilancio, sono competenze preziose e che forse tradizionalmente sono sempre mancate a chi viene da altri studi. L'analisi politica, la capacità di creare rapporti e la conoscenza delle istituzioni sono ancora il cuore del mestiere, ma oggi chi interpreta il mio ruolo è anche ambasciatore delle aziende, del Made in Italy, ed è parte in causa nel creare commercio, favorire scambi, incentivare il business.
Avana, Il Cairo, Buenos Aires, a leggere tutte in fila le città nelle quali ha vissuto ci si fa l'idea di una carriera professionale molto affascinante ma nomade per definizione. Quali attitudini personali occorre avere per sopportare le rinunce che questo menage comporta soprattutto sul piano delle relazioni umane, affettive?
Chi fa il diplomatico ha il privilegio di viaggiare molto e soprattutto di conoscere i paesi non come un turista, ma entrandovi nel cuore, nella vita istituzionale, culturale, artistica, economica. È vero però che a ogni cambiamento noi muoriamo e rinasciamo, come l'araba fenice. Da un posto all'altro ci portiamo dietro molta esperienza e qualche contatto, che oggi è più facile mantenere anche grazie a internet e ai social, ma a lungo è stato un capitale che ogni volta rischiava di perdersi. Ricordo le difficoltà quando ero a Cuba e internet non c'era, i collegamenti pochi e lentissimi, e anche telefonare costava 6 dollari al minuto... le relazioni erano difficili, ogni tipo di relazione.
Si è mai completamente preparati ad affrontare un mestiere centrato sulle relazioni personali e dunque sempre con un quid di imprevedibilità?
La cesura tra accademia e mondo del lavoro, in questo settore, è più marcata che altrove. L'esperienza qui è quasi tutto; il lavoro di relazioni è fatto di protocolli e formalità, che non sono forma ma sostanza, e di occasioni solo apparentemente informali, come cocktail, incontri, celebrazioni, durante le quali ogni gesto che si compie rappresenta il proprio paese. Ci si deve sentire ambasciatori 24 ore su 24, a patto che questa consapevolezza non ci impedisca di essere spontanei, perché l'obiettivo finale è creare relazioni vere, rapporti affidabili.
In questo senso, Italia e Kuwait hanno una buona tradizione diplomatica, rafforzata dall'impegno italiano contro l'invasione irachena negli anni Novanta. Questo significa che le è toccato un compito semplice?
Beh... è il mio primo incarico da ambasciatore, forse hanno voluto darmi una partenza soft... Qui in Kuwait, in effetti, c'è un capitale di simpatia che accompagna da sempre gli italiani. Noi non siamo bravi a capire queste cose e fino a oggi abbiamo forse un po' trascurato questo paese. Ora è il momento di far crescere e approfondire le relazioni, anche perché il Kuwait offre grandi opportunità da ogni punto di vista, ha un piano di sviluppo piuttosto ambizioso, necessità di ampliare la propria economia, molte possibilità nelle infrastrutture. Non ci deve spaventare la mancanza di risorse o di contatti, occorre innanzitutto rafforzare il dialogo politico.
Il suo predecessore, in effetti, è stato parte attiva nell'accordo quasi concluso tra il governo kuwaitiano e Finmeccanica per la fornitura di alcuni velivoli Eurofighters Typhoon...
Senza rapporti diplomatici non si arriverebbe ad accordi di questa importanza, soprattutto con paesi, come il Kuwait, nei quali il dialogo istituzionale è vissuto come una parte della trattativa. Quello sugli Eurofighters, anche se firmato da Finmeccanica, è di fatto un dialogo governo-governo... Intendiamoci: noi non siamo l'Ice, sviluppare gli affari delle aziende italiane nel paese non è il nostro primo obiettivo, però anche per le pmi è importante dimostrare di avere alle spalle l'appoggio del governo del proprio paese.
Prima di arrivare a Kuwait City lei è stato a capo del più grande consolato italiano all'estero, a Buenos Aires. Che differenza c'è tra essere console in una grande realtà o ambasciatore in una relativamente piccola?
L'esperienza di Buenos Aires è stata entusiasmante. Il lavoro consolare è diverso, ancora più manageriale per certi aspetti perché occorre far funzionare al meglio un ufficio, in questo caso vastissimo, che deve servire la collettività sotto molti punti di vista. E spesso si deve anche autofinanziare con eventi e iniziative. Noi abbiamo raccolto risorse in modo creativo, organizzando concerti, fiere, mettendo insieme comunità italiana, aziende locali, sponsor, istituzioni. Ma c'è anche un lato umano importante perché il lavoro di console incide e agisce sulla realtà e sul destino delle singole persone. Ogni cartellina che si prende in mano contiene un piccolo o grande caso umano. Il console è un misto tra sindaco e arcivescovo.
Considerata com'è andata, a Buenos Aires, all'ultimo sindaco (Mauricio Macrì, eletto da poco presidente dell'Argentina) e all'ultimo arcivescovo (Jorge Bergoglio, oggi papa Francesco), Scognamiglio ha di che essere ottimista...