
Inclusione fa rima con formazione
Disabilità. Sì, ma quale? Sembra un’ovvietà, ma le disabilità non sono tutte uguali: possono essere fisiche, cognitive, sensoriali, comportamentali. E possono essere transitorie, non permanenti, dovute a disagi che la persona vive nella propria sfera personale e che magari si riflettono sulla sua vita lavorativa. Serena Porcari, alumna Bocconi, le mille sfaccettature della disabilità le vive ogni giorno nella propria attività di ceo di Dynamo Camp e presidente di Dynamo Academy: “Con Dynamo Camp abbiamo ormai accumulato un’esperienza ventennale nell’inclusione, tanto che oggi alcune delle persone con disabilità che abbiamo accolto sono diventate nostri collaboratori e lavorano con noi. Dynamo Academy è invece la realtà di consulenza per le aziende che intendono impegnarsi nello sviluppo della propria sostenibilità sociale e dell’inclusione”, racconta.
Quali sono le principali criticità che emergono nella gestione della disabilità in azienda? C’è chi sottolinea per esempio il fatto che le aziende preferiscano pagare multe piuttosto che assumere persone disabili.
Il tema delle multe è certamente vero in alcune dimensioni di impresa, tuttavia, almeno per la nostra esperienza, non sono molte a lasciare che sia attivata questa procedura. Piuttosto, notiamo che spesso le aziende definiscono grandi piani e politiche, in linea con la loro visione strategica, ma poi queste politiche non vengono trasferite a cascata a tutti i livelli organizzativi e difficilmente si concretizzano. A volte però è vero anche il contrario: valide iniziative dei singoli, dal basso, che tuttavia non riescono a ottenere il commitment dei vertici aziendali. Le aziende hanno diversi strumenti a loro disposizione per rendere concreta l’inclusione, ma serve attivare i processi per utilizzarli; se questo non avviene in modo efficace, diventa più facile pagare le multe piuttosto che impegnarsi in un percorso.
Le imprese che si rivolgono a Dynamo Academy la scelgono, come spiega lei, per avere una consulenza di valore su come investire risorse nelle comunità e sull’inclusione. Quali consigli date loro?
Innanzitutto, di creare occasioni di engagement dei dipendenti sui temi della comprensione delle fragilità e coinvolgerli a tutti i livelli organizzativi in modo concreto. Per fare qualche esempio, rispetto a ciò che propone Dynamo Academy, li aiutiamo ad avere esperienza di cosa significhi vivere con una disabilità, attraverso alcuni moduli progettati ad hoc: facciamo provare loro l’arrampicata sulla sedia a rotelle o bendati, oppure chiediamo loro di fare una presentazione senza poter usare la parola, magari usando la tecnologia più adatta. In secondo luogo, osserviamo quanto sia importante che le aziende prevedano figure e strutture espressamente dedicate alla gestione della disabilità e dell’inclusione, come i disability & inclusion manager o gli ERG (employee resource group). Spesso sono il risultato di una governance “sofisticata” della sostenibilità. Molti esempi provano che quando queste figure esistono, le cose cominciano ad accadere. Là dove mancano, invece, la sensibilità verso questi temi rimane astratta. A questo secondo punto, che riguarda la governance, se ne lega un terzo, che viene solo dopo aver agito – ovvero la rendicontazione.
C’è poi un altro aspetto, sul quale voi battete in maniera particolare: la formazione.
Sì, questo è un aspetto chiave. Le imprese che credono veramente nell’inclusione integrano sempre la formazione dei dipendenti. Questo è un elemento imprescindibile. Quando parlo di inclusione e di accessibilità, in aggiunta, mi riferisco anche all’integrazione delle tecnologie, che oggi hanno potenzialità incredibili e possono contribuire in modo enorme su questo fronte.
Ci sono esperienze positive che sono emerse nel vostro lavoro con le aziende, al di là delle best practice di cui abbiamo parlato?
Nella nostra esperienza, quando in azienda è presente la cultura che considera l’inclusione un valore, con gli strumenti citati, avviene il salto di qualità. Quello che chiamiamo caring spirit, o caring culture, che è appunto alla base dalla volontà di inclusione, in alcune aziende diventa uno stile di leadership. Il passo successivo è approfondire come questo possa diventare un fattore strategico per il business e i risultati aziendali.
Abbiamo parlato dell’inclusione dal lato delle imprese. Ma come vivono la loro presenza in azienda le persone disabili?
Poco più di tre anni fa, una nostra ricerca in collaborazione con Euromedia Research su un campione di 800 persone ha evidenziato un dato significativo: a fronte di una percezione positiva generalizzata rispetto al clima aziendale, chi soffriva di una patologia o disabilità viveva l’ambiente lavorativo con maggiori difficoltà e i dati derivanti erano spesso in controtendenza rispetto al totale del campione. Mentre il 18,6% del campione totale si era ritenuto oggetto di comportamenti discriminatori, questa percentuale saliva al 41% tra le persone con disabilità. È evidente quindi che c’è ancora insoddisfazione. Ritengo inoltre che la mancanza di inclusione si avverta di più proprio per le patologie non fisiche e in particolare per quelle cognitive e comportamentali e per la disabilità intellettiva. Patologie o disabilità che spesso ‘non si vedono’. E per questo, ancora una volta, è fondamentale la formazione.