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Stefano Liebman, il giuslavorista che guida la School of Law

, di Claudio Todesco
In Bocconi dal 1995, e' stato confermato anche nel rettorato di Gianmario Verona a capo della Scuola di Giurisprudenza

"Mi iscrissi a Giurisprudenza per studiare economia", ricorda Stefano Liebman. "Negli anni '70 molti studiosi di economia avevano un background giuridico. Quando capii che non sarei mai stato un buon economista continuai a studiare diritto, considerandolo anzitutto una scienza sociale". Quarant'anni dopo, Liebman guida la Scuola di Giurisprudenza dell'Università Bocconi – confermato nel ruolo da Gianmario Verona –, il luogo dove una formazione completa nel campo del diritto è affiancata a un background di tipo economico-manageriale e dove fin dal primo anno si studia matematica. La sua non è stata una scelta facile. Figlio di un monumento del diritto processuale civile, professore associato alla Statale di Milano dove aveva insegnato il padre, lasciava nel 1995 la sua alma mater fra lo scetticismo dei colleghi per diventare il primo professore di ruolo di Diritto del Lavoro in Bocconi e partecipare alla fine del decennio alla progettazione e al lancio del corso di laurea in Giurisprudenza. Si definisce "uno dei più entusiasti sostenitori del progetto di una giurisprudenza bocconiana diversa da quella tradizionale, dove c'è integrazione fra materie giuridiche, economiche, quantitative, e una fortissima proiezione internazionale". Il suo obiettivo è portare a compimento la definizione del profilo di Scuola di Giurisprudenza che ha sempre avuto in mente attraverso il rinnovamento del corpo insegnante e l'insistenza nel processo di internazionalizzazione.

Si gode "la soddisfazione di vedere che sta passando l'idea che si possano misurare i fenomeni giuridici, una cosa che fino a poco tempo fa si riteneva impossibile". Ama gli scenari generali più delle tecnicalità e quando gli si chiede un libro che l'ha segnato indica Storia del liberalismo europeo di Guido De Ruggiero, letto ai tempi della tesi su suggerimento di Gino Giugni, "un testo che col diritto non c'entra nulla". Si definisce un animale da aula che ama profondamente il rapporto con gli studenti, la condivisione del sapere, la trasmissione del senso della complessità delle cose. "Soffro se una lezione non riesce alla perfezione. Ancora oggi, a 63 anni d'età, ogni volta che entro in aula mi chiedo come andrà".