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Regimi e democrazia: gli effetti della minaccia militare

, di Livio Di Lonardo - Assistant Professor di Political Science
Dalla Siria al Venezuela: per capire le conseguenze dell'intervento militare esterno bisogna guardare anche al gradimento internazionale delle opposizioni interne

Nell'agosto 2012, l'allora presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, dichiarò che l'uso di armi chimiche rappresentava una red line, e se Bashar al-Assad l'avesse oltrepassata ci sarebbero state delle «conseguenze enormi» per il regime siriano. Un anno dopo, e con la red line palesemente oltrepassata, molti protagonisti e analisti della politica, di fronte allo spettro di un nuovo intervento militare in Medio Oriente, lamentavano l'incapacità dell'occidente di imparare la cosiddetta «lezione della Libia». L'intervento in Libia, nato con l'intento di rovesciare il regime di Gheddafi e iniziare un processo di transizione democratica, ha lasciato un paese nel caos, tuttora dilaniato da conflitti interni e potenziale porto franco per gruppi terroristici. Il rischio che questo scenario potesse ripetersi una volta deposto Assad era tangibile, e spinse Obama ad abbandonare l'opzione militare.
Se negli ultimi anni la fede nell'efficacia di coinvolgimenti diretti in conflitti interni ad altri paesi sembrava aver lasciato il posto alla logica di America first, le recenti vicende in Venezuela hanno riacceso il dibattito su rischi e benefici delle politiche di regime change. E con il dibattito pubblico, anche quello accademico sta riprendendo vigore. In un working paper con Scott Tyson e Jessica Sun dell'Università di Rochester, studiamo quali siano gli effetti di una minaccia di un intervento militare esterno sulle dinamiche del conflitto interno tra regime e opposizione.

Nella nostra analisi mostriamo come il semplice fatto che un attore internazionale consideri come un'opzione percorribile il rovesciamento di un regime tramite intervento militare, può rendere il regime in questione più stabile, contrariamente a quanto ci si possa aspettare. Le ragioni di questa maggiore stabilità dipendono dall'allineamento o dalla divergenza in termini di interessi generali tra l'opposizione interna al regime e l'attore internazionale. Se c'è allineamento, l'attore internazionale ha meno remore a ricorrere a un intervento militare. Un intervento diretto rischia sì di creare un vuoto di potere dopo la deposizione del regime, ma l'opposizione interna è in una posizione privilegiata per prendere il potere e dar vita a un nuovo governo allineato agli interessi dell'attore internazionale. Come risponde il regime allo spettro di un intervento militare? Con una repressione feroce dell'opposizione interna, in modo da indebolirla e ridurre le possibilità che la deposizione del regime vigente porti a una governance più gradita all'attore internazionale, così da dissuaderlo dall'intervenire militarmente.
Se anche l'opposizione interna è ostile all'attore internazionale, il rischio che un regime sgradito (come quello di Assad) possa lasciare il posto all'avanzata di un'opposizione altrettanto sgradita (come l'Isis) spinge l'attore internazionale a essere più prudente. L'opposizione interna è così una sorta di polizza assicurativa per il regime, che la tollera o la supporta per scongiurare un intervento militare dall'esterno. Questa logica trova riscontro proprio nel caso siriano: quando nel 2014 alcuni report suggerirono che Assad stesse acquistando petrolio dall'Isis, di fatto finanziando un suo nemico, il senatore John McCain offrì una spiegazione semplice: «Assad vuole porci di fronte a una scelta chiara: o lui o l'Isis, e sa che sceglieremo lui».

La nostra analisi offre quindi un quadro abbastanza negativo degli effetti che la minaccia di un intervento militare ha su regimi sgraditi: i regimi diventano più stabili, aumenta la repressione interna delle opposizioni gradite (e potenzialmente alleate) all'attore internazionale, mentre si riduce la repressione interna delle opposizioni sgradite e potenzialmente pericolose. Qual è la lezione per la crisi in Venezuela? Il rifiuto del presidente Trump di escludere la possibilità di un intervento militare potrebbe spingere Maduro a una repressione ancora più violenta dell'opposizione di Guaido, rendendo più tortuosa la strada verso una transizione democratica.