Contatti
Opinioni

Non chiamatela bufala

, di Oreste Pollicino - ordinario presso di Dipartimento di studi giuridici
Per capire e affrontare il fenomeno delle fake news il primo passo e' darne la giusta definizione. Il problema che abbiamo di fronte e' quello della disinformazione e per questo va visto nell'ambito della tutela della liberta' di espressione che viene diversamente interpretata sulle due sponde dell'oceano Atlantico

Difficile non imbattersi oggi in un articolo che non faccia riferimento al problema delle fake news. Altrettanto difficile capire cosa debba effettivamente intendersi con questa (non felice) espressione e cosa invece non possa ritenersi compreso all'interno della stessa.
Forse, più radicalmente, è meglio proporre l'abbandono del termine fake news, ormai fin troppo abusato e quindi inevitabilmente svuotato di senso, per fare proprio quello di disinformazione. Ci sono almeno due ragioni a supporto di tale opzione.
In primo luogo, il concetto di fake, di bufala, è in grado, per la sua genericità, di ricomprendere sia ciò che, pur essendo falso, rientra in una sfera di liceità o indifferenza per l'ordinamento giuridico, sia quanto è non solo falso ma anche illecito, come, per esempio il diffamare qualcuno incidendo negativamente sulla sua reputazione.

Il riferimento a disinformazione, mi pare, sia invece in grado di identificare più chiaramente il perimetro di rilevanza del fenomeno: quella zona grigia non regolata dall'ordinamento, perché ha quale base l'esercizio di una libertà costituzionale - poter esprimere (anche in modo non veritiero) il proprio pensiero - ma che in certi contesti può avere un impatto sulla formazione della opinione pubblica tale da poter essere preso in considerazione quale rilevante per un ordinamento giuridico. Ovviamente, fondamentale graduare la reazione di quest'ultimo.
In secondo luogo, parlare di disinformazione consente un riferimento immediato, perché innanzitutto terminologico, alla questione che costituisce la radice, spesso ignorata, del dibattito intorno alle (ormai furono) fake news: la declinazione costituzionale del diritto all'informazione e, ancor prima, della libertà di espressione. Declinazione che, altro punto che spesso non viene messo a fuoco, non coincide se si guarda da una parte al costituzionalismo americano e dall'altra parte a quello europeo. Mentre il primo emendamento della Costituzione americana, che tutela la libertà di espressione, oltre ad avere un campo di applicazione di fatto sconfinato, si concentra prevalentemente sulla dimensione attiva della libertà di informazione, cioè guarda innanzitutto a chi informa e con quali modalità, non può dirsi lo stesso riguardo al nucleo duro del costituzionalismo europeo sul punto.

Due sono gli elementi principali di divergenza. Primo, a differenza di quanto si è detto del primo emendamento, la libertà di espressione, e conseguentemente la libertà di informazione, incontra dei limiti che sono esplicitamente codificati (basti pensare all'art. 10 della Convenzione europea dei Diritti dell'uomo). Il che vuol dire che non vi è, per cosi dire, una presunzione di prevalenza della libertà di espressione sugli altri diritti in potenziale conflitto, ma il bilanciamento è alla pari. Secondo, ed è il punto forse decisivo per comprendere le ragioni dell'esigenza di una risposta europea al problema della disinformazione, il costituzionalismo europeo, a differenza di quello statunitense, si concentra non tanto sulla dimensione attiva di chi informa, ma sulle aspettative di protezione di chi è informato, quindi sul fronte passivo della libertà di informazione. Se cosi è, e se quindi il diritto ad essere informato in modo pluralista ed effettivo fa parte del dna del nostro Bill of Rights, allora si può forse legittimamente avanzare il dubbio che una disinformazione dolosamente orientata a nuocere su tale diritto non sia coperta dall'ombrello costituzionale europeo. Il che, conseguentemente, farebbe emergere non solo un margine di intervento da parte del diritto pubblico, ma anche un obbligo in questo senso. Ovviamente, come si diceva, tutte da esplorare le modalità e gradualità di tale intervento.

Ma questa è un'altra storia.