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Liquidita', la sfida e' tornare alla normalita'

, di Franco Bruni - professore ordinario di teoria e politica monetaria internazionale
Per rispondere alle crisi finanziarie dopo il 2007 sono state messe in campo politiche non convenzionali. E arrivata l'ora di invertire la rotta e coordinare le azioni tra banche centrali

E' un periodo difficile per le politiche monetarie, che devono affrontare diverse sfide. Alcune sfide sono strutturali e strategiche. Un esempio: la loro capacità di controllare tempestivamente il ritmo dell'inflazione è resa incerta dall'esperienza degli ultimi anni. Altro esempio: la loro indipendenza dalle esigenze di finanziamento dei governi è stata messa in dubbio, pur essendo alla base della loro credibilità.
Ma la sfida più urgente è congiunturale, tattica. È la cosiddetta normalizzazione.

Nell'ultimo decennio, per rimediare alle crisi finanziarie iniziate nel 2007, le politiche monetarie sono ricorse a strumenti non convenzionali, come il quantitative easing, inondando l'economia di liquidità e portando i tassi di interesse a livelli molto bassi e negativi. Le politiche non convenzionali, oltre a stimolare direttamente la crescita reale, hanno fatto un uso intenso e non ortodosso della cosiddetta forward guidance, cioè di preannunci e impegni sulle loro politiche (espansive) future, per influenzare le aspettative dei mercati e per loro tramite avere anche un effetto indiretto sull'economia.
Il grande e diffuso aumento della liquidità e i bassi tassi di interesse, oltre a stimolare la crescita di prezzi e produzioni, hanno avuto effetti collaterali sui valori azionari e obbligazionari e sulla propensione al rischio di investitori e intermediari. Nelle borse vi sono state quelle che alcuni considerano bolle speculative; la ricerca di impieghi redditizi in un mondo di tassi molto bassi ha aumentato la rischiosità dei portafogli e degli intermediari. C'è il pericolo che le bolle scoppino e che i rischi si traducano in disavventure e insolvenze, che possono poi moltiplicarsi per panico e contagio. Si può temere che, in un'economia mondiale che ha ripreso a crescere in termini reali, si riaffacci la crisi finanziaria.

Le banche centrali hanno dunque messo in programma di ridurre gradualmente l'intensità degli stimoli espansivi e tornare a usare strumenti più ortodossi: riottenere un mondo di tassi positivi in grado di essere manovrati come «da libro di testo», all'ingiù quando l'economia e i prezzi rallentano e all'insù quando si surriscaldano. Sia la decisione che l'implementazione di questi progetti di normalizzazione sono in stadi diversi nelle varie banche centrali: più avanzate negli Usa, meno in Europa e ancor meno in Giappone. Ma la sfida della normalizzazione è ben presente dappertutto.
Perché è una sfida? Perché non è facile tornare alla normalità. Vi sono difficoltà tecniche nel riassorbimento della liquidità. Ma è difficile soprattutto il rapporto fra autorità monetarie e mercati. Annunciare politiche meno espansive o, addirittura, restrittive, può causare panico, bruschi cali di borsa e traumatici abbandoni di investimenti rischiosi. Pur essendo la liquidità mondiale oggi sovrabbondante, un vero e proprio inizio del suo prosciugamento va gestito con cautela anche perché, come ricordato prima, influenzare le aspettative preannunciando decisioni future è ormai considerata una modalità consolidata di far politica monetaria. Una svolta nel tono delle politiche monetarie implica anche un attento dosaggio degli annunci delle banche centrali: anch'essi debbono svoltare; ma non devono smentire troppo gli annunci passati per non compromettere la credibilità di chi li fa. Occorre svoltare senza spaventare e senza sorprendere, convincendo che liquidità e tassi più normali andranno di pari passo con la normalizzazione del ciclo economico e l'uscita definitiva da un lungo periodo di tensioni macroeconomiche.

Inoltre, le grandi banche centrali devono riuscire a normalizzare senza ostacolarsi a vicenda, evitando che ritmi diversi di normalizzazione delle diverse aree monetarie creino eccessivi differenziali nei tassi di interesse, grandi instabilità dei cambi e distorsioni delle competitività delle esportazioni.
Andrebbe forse abbandonata l'idea, ortodossa e diffusa, che non serve coordinare le politiche monetarie.