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L'integrazione dei saperi per uscire dalla crisi

, di Davide Ripamonti
Luciano Ravera, alumnus Bocconi e amministratore delegato dell'Istituto Clinico Humanitas, spiega che la carta vincente in un momento di altissima difficolta' come l'attuale pandemia e' valorizzare le competenze di tutti

È la classica situazione in cui, con le cose che cambiano repentinamente, pianificare è quasi impossibile. Ma, se non pianifichi, magari prevedendo piano A e piano B, rischi di venire travolto. "In questo mi è stata molto utile la Bocconi dove ho frequentato diversi corsi di pianificazione strategica", dice Luciano Ravera, laureato in Economia aziendale nel 1989, oggi amministratore delegato dell'Istituto Clinico Humanitas, ospedale capofila di un gruppo presente in Italia con 9 ospedali, tra cui il famoso Humanitas Research Hospital di Rozzano, 18 centri diagnostici, un centro di ricerca e una sede universitaria internazionale dedicata alle scienze mediche, per un totale di circa 6mila dipendenti. "Con questa pandemia siamo entrati in un mondo che non conoscevamo, ma abbiamo saputo reagire mantenendo i nervi saldi e lavorando in gruppo. Che è poi la ricetta di un'efficace pianificazione, che deve essere veloce e ordinata".

Il gruppo, concetto su cui Ravera insiste, è la chiave vincente, perché in un grande ospedale non c'è solo il personale sanitario, ma anche altre figure professionali il cui apporto è indispensabile. "Nella nostra task force, che nei momenti più difficili si riuniva due volte al giorno, sono presenti medici ma anche ingegneri e manager, perché questo consente di avere angoli di lettura diversi e ugualmente importanti". Quando un ospedale viene investito da un simile ciclone, tutto cambia. "Cambia la struttura, perché ti trovi ad accogliere pazienti che non possono stare a contatto con gli altri e quindi devi reinventare la disposizione dei reparti. Con l'importante duplice obiettivo di curare al meglio i malati e di proteggere il personale sanitario".

L'ospedale di Rozzano ha gestito 250 pazienti Covid, un numero molto elevato, ma quello della cura non è l'unico fronte in cui Humanitas è impegnata: "La ricerca è altrettanto importante", continua Ravera, "nel giro di una settimana siamo stati in grado di allestire un laboratorio certificato dalla Regione Lombardia, nel quale lavorano fianco a fianco clinici e ricercatori. In questo momento abbiamo in campo 20 studi clinici Humanitas su pazienti Covid, che riguardano nuovi farmaci da testare, nuovi indicatori diagnostici e altro. Poiché attualmente non esiste una terapia pianificata", prosegue il manager, "è importante nel breve individuare quali farmaci siano i più efficaci, il vaccino è una soluzione a medio-lungo termine".

La ricerca clinica è anche un ottimo modo per fare benchmark e sono infatti molti gli ospedali con cui adesso Humanitas si rapporta e si confronta: "Siamo stati contattati da moltissimi ospedali nel mondo interessati a sapere cosa stessimo facendo, e ora siamo parte di un network internazionale in cui ci confrontiamo soprattutto sui modelli di cura", spiega Ravera. "Ad un webinar organizzato il 28 marzo da un nostro medico sui pazienti Covid in terapia intensiva hanno partecipato 130 mila clinici di paesi diversi. Il fatto poi di essere partner dell'Università di Wuhan ci ha permesso di attingere alla loro esperienza".

Trovarsi al centro una situazione di questa drammaticità, che neanche manager abituati a fronteggiare molte situazioni delicate avrebbero mai immaginato, ha almeno un risvolto positivo: scoprire che si è parte di un'organizzazione che funziona anche sottoposta a un altissimo grado di stress: "Uno dei risvolti più belli del mio ruolo è rendermi conto della profonda integrazione di saperi che ci contraddistingue, perché oltre ai medici lo sforzo più grande lo fanno gli infermieri, i tecnici, la squadra al completo. Un ospedale può rispondere meglio o peggio a seconda di quanto i suoi saperi siano integrati. E in questo, con mia grandissima soddisfazione, penso di aver dato il buon esempio".