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La vittoria spiegata in tre fattori

, di Fausto Panunzi, Nicola Pavoni e Guido Tabellini - professori ordinari presso il Dipartimento di economia
Shock economici, delusione degli elettori, comportamento dei candidati nella competizione elettorale sono gli elementi che hanno permesso ai partiti populisti di avanzare nelle elezioni. E quanto emerge da uno studio Bocconi

La crescita a volte anche tumultuosa dei movimenti populisti è senza dubbio uno dei fenomeni politici più rilevanti degli ultimi anni. Sembra ormai chiaro il nesso che lega l'emergere dei populismi e gli shock economici avversi: l'emergere della Cina come potenza economica mondiale e la Grande Recessione, con i loro impatti sull'occupazione sono stati fattori decisivi a tal fine. Ma c'è un elemento sorprendente: se gli shock economici hanno diffuso tra i cittadini uno scetticismo verso il funzionamento dei mercati, perché gli elettori hanno premiato movimenti e partiti populisti che supportavano piattaforme economiche conservatrici? Ad esempio, Trump nel 2016 ha vinto le elezioni presidenziali americani promettendo tagli alle tasse che avrebbero premiato in primo luogo i più ricchi. Perché molti lavoratori e disoccupati hanno votato per Trump, malgrado le sue proposte di ridimensionamento dei programmi di welfare?

Nel nostro paper "Economic Shocks and Populism: The Political Implications of Reference-Dependent Preferences" proviamo a dare una risposta a questa domanda. La caratteristica saliente dei partiti populisti è, a nostro avviso, il fatto che siano più rischiosi dei partiti tradizionali. Lo sono per varie ragioni: i loro esponenti sono meno esperti e quindi meno testati nella loro capacità di prendere decisioni, sono tipicamente anti-establishment e sostenitori di politiche non ortodosse e spesso radicali. Ma perché il fatto di essere più rischiosi dovrebbe essere un fattore di attrazione per un partito politico? La maggior parte dei cittadini e degli elettori è di solito avversa al rischio. Per capirlo, dobbiamo considerare un altro elemento della nostra analisi: nel determinare la soddisfazione degli individui non conta solo il risultato finale, ma anche il punto di riferimento (reference point) individuale.

Ad esempio, se la nostra squadra ha pareggiato per 3-3, saremo tipicamente molto contenti se ciò avviene dopo che era svantaggio per 3-0 perché a quel punto ci aspettavamo che perdesse. Saremo invece molto scontenti se ciò avviene dopo che era in vantaggio per 3-0, dato che a quel punto ci eravamo fatti l'idea che la nostra squadra avrebbe vinto (è capitato veramente qualche tempo fa, su sponde opposte, a due degli autori di questo articolo). Un fatto ben stabilito nella letteratura è che gli individui diventano più propensi a prendere decisioni rischiose quando sono delusi, cioè quando il risultato è al di sotto delle loro aspettative, del loro punto di riferimento individuale. Mettendo insieme gli elementi, gli shock negativi avversi portano alcuni individui a non ottenere quello che si aspettavano e li spingono quindi al di sotto del loro punto di riferimento. Tali individui trovano allora attraenti decisioni rischiose. Nella sfera politica, essi possono diventare sostenitori di movimenti populisti proprio perché più rischiosi dei partiti tradizionali. A questo punto entra in gioco un ultimo elemento della nostra analisi: il comportamento dei candidati nella competizione elettorale. Immaginiamo che gli elettori differiscano sia in termini della loro insoddisfazione che in termini del loro desiderio di redistribuzione fiscale.
Alcuni di essi, i più poveri e la classe media, sono favorevoli a tasse elevate perché esse vanno principalmente a loro favore. Altri, i più ricchi, sono invece contrari perché sono i più penalizzati. Quali politiche fiscali offriranno allora i candidati populisti e quali quelli moderati? Supponiamo, per semplicità, che i più poveri siano anche i più delusi. Essi allora voteranno per il populista, anche quando esso offre politiche fiscali poco redistributive. La concorrenza politica tra populisti e moderati è allora principalmente per la classe media e per i ricchi. La classe media è più numerosa e più avversa al rischio. Per tale ragione i candidati moderati si concentrano nell'attrarre la classe media, offrendo un elevato grado di redistribuzione, mentre i candidati populisti puntano ad ottenere il supporto dei ricchi, offrendo tagli alle tasse. I populisti finiscono per unire una improbabile coalizione di ricchi e delusi, come è successo negli Stati Uniti nel 2016. Quanto questa strana alleanza sia stabile lo potranno stabilire solo i prossimi anni.