La democrazia tra rappresentanza e... like
La parola democrazia suona oggi, per ciascuno di noi, come una promessa di libertà e uguaglianza. Libertà di essere autore in prima persona delle scelte collettive, di partecipare attivamente alla vita politica in tutte le sue forme, di rompere le catene che sottomettono gli individui al dominio del più forte. E tutto questo riconoscendo a ciascun cittadino le medesime prerogative come pure la medesima capacità di decidere il futuro della comunità politica in cui vive. Si tratta, tuttavia, di una promessa difficile da mantenere. Questo per almeno due ordini di ragioni. In primo luogo, la prerogativa riconosciuta a ciascun cittadino di essere co-autore delle scelte collettive trova realizzazione, nelle democrazie moderne, mediante il meccanismo della rappresentanza politica.
Il popolo, a cui la nostra Costituzione riconosce sovranità, è un'entità fittizia, artificiale. Per agire politicamente, il popolo deve essere rappresentato da individui in carne e ossa, scelti dai cittadini, ai quali spetta impersonare la volontà di tutti. Ciò genera una spaccatura latente tra rappresentanti e rappresentati, sempre pronta a riemergere nei momenti di crisi.
La tecnologia come via per unire chi comanda a chi è comandato
Il nodo della rappresentanza politica, per esempio, è diventato oggi cruciale di fronte alla crisi dei partiti e alla loro incapacità di coagulare scelte collettive movendo dai bisogni e dalle aspirazioni dei cittadini. Da qui il tentativo, diffuso ormai su scala planetaria, di recuperare forme di democrazia diretta mediante l'ausilio delle nuove tecnologie, apparentemente in grado di istituire un filo diretto tra chi comanda e chi è comandato. Tuttavia il nodo della rappresentanza non viene in questo modo sciolto ma semplicemente spostato al di fuori dei circuiti istituzionali tradizionali.
Come già Kant rimproverava a Rousseau, la democrazia diretta è «priva di forma»: essa va comunque indirizzata definendo l'agenda politica da seguire e i meccanismi di selezione del consenso; decisioni che il popolo, da solo, non è in grado di effettuare. Che la «messa in forma» della democrazia diretta avvenga grazie a un legislatore illuminato, un capo carismatico o una piattaforma on line poco importa. Lo iato tra rappresentanti e rappresentati rischia fatalmente di far capolino facendo fallire qualsiasi aspirazione democratica.
Dal principio alla dittatura di maggioranza
Un secondo ordine di ragioni che rende difficile mantenere le promesse della democrazia è legato al meccanismo mediante il quale vengono compiute le scelte collettive, vale a dire il principio di maggioranza. È noto come qualsiasi democrazia, pur basata sul suffragio universale, è sempre esposta al rischio della dittatura della maggioranza. Nel momento in cui un movimento o una coalizione politica conquista il maggior numero di seggi in parlamento, a prescindere dal reale consenso che essa riscuote tra la popolazione, questa può decidere di ignorare le istanze delle minoranze, o addirittura di ridurle al silenzio politico, al grido «la mia è la voce del popolo intero!».
Quando ciò accade, la democrazia si trasforma nel più insidioso dei regimi autoritari. Per scongiurare questo pericolo, le democrazie costituzionali contemporanee prevedono, come recita la nostra Carta fondamentale, che la sovranità popolare venga esercitata «nelle forme e nei limiti della Costituzione». La volontà della maggioranza è cioè vincolata al rispetto e alla piena realizzazione dei principi costituzionali, ed in particolare alla protezione dei diritti fondamentali riconosciuti a tutti gli individui, il cui rispetto costituisce un prerequisito della democrazia medesima. Si innesca in tal modo una tensione latente tra la pretesa democratica di realizzare un progetto politico e limiti che la Costituzione pone alla sua definizione. Questa tensione è tenuta a freno dagli organi istituzionali di controllo e dalle Corti costituzionali, ai quali spetta il non facile compito di contemperare le prerogative democratiche con la tutela di diritti fondamentali privi di colore politico. Ma nel caso questa tensione superi gli argini eretti dalle istituzioni, essa si trasforma in una marea inarginabile che travolge la comunità politica intera.
Un laboratorio aperto a tutti e in continua trasformazione
Ora, sebbene le promesse della democrazia siano difficili da mantenere a causa della congenita instabilità che già Aristotele le rimproverava, la democrazia resta la migliore forma di organizzazione politica delle società complesse.
E questo, come ha recentemente sottolineato Nadia Urbinati, proprio in virtù della flessibilità di questa forma di governo, della sua capacità di adattarsi a situazioni diverse reinventando le dinamiche della rappresentanza e riarticolando le scelte politiche alla luce dei diritti fondamentali.
Come dire, la democrazia è da sempre un laboratorio politico in trasformazione, capace di mantenere le sue promesse nella misura in cui ciascuno di noi è disposto a partecipare alla sua continua riconfigurazione e realizzazione.
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