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La banca dopo la banca

, di Federico Ghezzi - ordinario presso di Dipartimento di studi giuridici
Il modello di istituzione bancaria che conosciamo e' destinato a essere marginalizzato eppure e' ancora difficile immaginarne un futuro certo. Punto di partenza pero' sono lo sviluppo del mercato fintech e il processo di concentrazione in atto

Negli ultimi 30 anni, il tema della competitività del nostro sistema bancario, della desiderabilità di una più accesa concorrenza tra i nostri principali operatori bancari, di una loro più forte apertura al mercato e al confronto con gli operatori esteri, è sempre stato al centro del dibattito politico e della comunità economico-finanziaria. Poco più di 30 anni fa, acquisita la natura di impresa dell'attività bancaria, si intraprese un deciso processo di privatizzazione, formale e poi anche sostanziale, delle grandi banche pubbliche. In quel periodo prese avvio il processo di concentrazione, che coinvolse molte realtà locali, ma anche buona parte dei grandi enti creditizi privatizzati. Si riteneva che le banche nazionali per competere nell'arena europea dovessero raggiungere dimensioni adeguate. Allo stesso tempo, vi era il timore che una troppo rapida apertura al mercato comportasse problemi di stabilità alle nostre banche, palesemente sottocapitalizzate e poco avvezze alla competizione; da parte di molti si mostrava preoccupazione che, in mancanza di difese adeguate, le nostre banche potessero essere oggetto di acquisizioni, qualcuno le definiva "scorrerie", da parte dei principali gruppi creditizi stranieri.

In questa epoca persistevano ancora, nel nostro sistema finanziario e assicurativo, forti legami e intrecci di natura strutturale e personale, considerati uno strumento utile al fine di difendere la proprietà e il controllo delle banche italiane. L'Italia era considerata il regno delle partecipazioni incrociate e degli interlocking directorates, tanto da evocare un sistema di "proprietà circolare".
Quando fummo investiti dalla forte crisi economico-finanziaria, nella seconda parte degli anni 2000, le banche vennero tuttavia accusate di non avere saputo reagire in modo sufficientemente rapido, in particolare nell'attività di erogazione del credito, anche a causa della mancanza di un adeguato livello di concorrenza. Nel primo provvedimento assunto dal neonominato governo Monti, chiamato alla fine del 2011 a risolvere la ormai perdurante crisi, si intervenne proprio sulla governance bancaria – vietando gli interlocking directorates tra banche (e assicurazioni) concorrenti – nella speranza che questo correttivo avrebbe generato stimoli sufficienti a indurre le banche a competere anche sul fronte dell'erogazione e del costo del credito.

Superata la crisi, i processi di aggregazione sono ripresi, e oggi il panorama del settore bancario italiano è fortemente cambiato, mostrando un livello di concentrazione assai più elevato, tanto da raggiungere la media europea. Questo non ha impedito che numerosi gruppi bancari, anche di grandi dimensioni, entrassero in una crisi profonda, dalla quale non si sono risollevati. L'intervento pubblico ha consentito, seppur con costi elevati, di tutelare almeno in parte depositanti e azionisti, ma il sistema bancario italiano continua a mostrare segni di debolezza, in termini di redditività, efficienza e livello dei costi, come risulta anche dall'ultima relazione della Banca d'Italia. Appare difficile individuare le prossime traiettorie di sviluppo che caratterizzeranno le istituzioni bancarie nazionali ma il modello di banca, quale lo conosciamo in Italia, sembra comunque destinato alla marginalizzazione, anche per la concorrenza di nuovi intermediari e imprese FinTech. Paradossalmente, la pandemia e il processo di concentrazione potrebbero tuttavia favorire i cambiamenti di cui le banche necessitano per affrontare le nuove forme di competizione in un contesto economico e sociale radicalmente modificato.

Per un verso, la pandemia ha obbligato le banche a rinforzare l'offerta di servizi on line, attraverso piattaforme sempre più integrate. La maggior focalizzazione sulla digitalizzazione potrebbe consentire alle banche di raggiungere una percentuale crescente di clienti con una gamma più ampia di servizi senza avere una fitta rete di filiali, in modo da generare rendimenti più elevati e contribuire a migliorare l'efficienza dei costi. Per altro verso, il processo di concentrazione in atto, se non eccessivamente squilibrato in termini di potere di mercato, potrebbe contribuire ad aumentare la solidità delle banche principali e consentire loro di effettuare gli elevati investimenti necessari per l'adeguamento tecnologico, così da meglio rispondere alle sfide generate dalla concorrenza di imprese FinTech e intermediari non bancari, la cui attività si fonda su modelli di business più efficienti sotto il profilo tecnologico e con meno restrizioni regolatorie.