Il tuo posto nel mondo puoi trovarlo anche se non sai cosa vuoi fin da subito
“Nell’indirizzare il mio percorso, il destino ci ha messo molto del suo”, riflette Marina Benedetti, senior economist dell’Ufficio Studi di Sace, ricordando le sliding doors della sua carriera di economista e, ancor prima, di studentessa. “Dopo il liceo classico volevo iscrivermi a lettere, ma mio padre avrebbe preferito che facessi Giurisprudenza, e allora ho scelto Economia per dimostrargli di riuscire anche in una materia che non amavo. Ho fatto domanda per il Cleacc pensando di essere più portata per le discipline umanistiche e invece mi hanno preso per il DES e mi sono innamorata della matematica e della macroeconomia. Avrei voluto proseguire in accademia con un dottorato in un’università prestigiosa, ma con una laurea non a pieni voti mi sono giocata questa opportunità e ho dovuto accettare un incarico che inizialmente non mi piaceva. Ma ho sempre tenuto duro, cercando di imparare qualcosa da ogni situazione, e oggi mi trovo in un’azienda che mi piace, con un incarico che mi soddisfa e nel quale riesco a esprimermi pienamente”. La morale nella storia di Marina Benedetti offre un’alternativa alle storie di chi sembra avere da sempre le idee chiare e riesce ad ottenere ciò che si è prefissato. “Avere degli obiettivi definiti fin da subito è una fortuna, ma non è l’unica possibilità per trovare il proprio posto nel mondo”, continua l’economista di Sace. “Dopo 13 anni trascorsi nell’Ufficio Studi di Mediobanca, per esempio, io mi ero resa conto che mi era sparito il sorriso perché, nonostante l’ambiente fosse molto formativo e professionale, una vera scuola, le materie che trattavo non riuscivano ad appassionarmi. Avevo bisogno di cambiare, ma quando mi chiedevano che cosa volessi fare, entravo in difficoltà. La domanda mi metteva ansia perché io sapevo solo quello che non volevo fare. Non ero e non sono un’eccellenza in nulla di particolare, ma avevo interessi in tante direzioni, sono una persona curiosa, che si impegna, questo sapevo. A quel punto ho fatto application a tappeto, alcune ho dovuto abbandonarle perché prevedevano un trasferimento che mi sembrava incompatibile con la famiglia, e in altre, come quella con McKinsey, mi sono un po’ autosabotata per paura di non saper dire di no di fronte a una loro eventuale proposta. Alla fine, la telefonata giusta, quella di Sace, è arrivata, per questo vorrei dire alle ragazze che si sentono insicure che l’importante è sempre perseverare nella ricerca e farsi trovare pronte quando capita l’occasione. Oggi il sorriso mi è tornato e le soddisfazioni professionali sono tante. Anche le occhiaie, perché si lavora molto, ma il primo è più importante”.
Il dubbio che, magari, prendendo altre strade il percorso di carriera sarebbe stato diverso, è un pensiero ricorrente che si nutre di rimpianti e alimenta l’insoddisfazione, rischiando di coinvolgere anche le scelte di vita personale. “Come detto, ci sono stati momenti nei quali io ho messo la famiglia davanti alle decisioni di carriera”, continua Benedetti. “L’ho fatto nella consapevolezza che l’obiettivo più importante, sia per me come persona che per me come professionista, era trovare un equilibrio tra due aspetti fondamentali, perché in questo modo avrei avuto motivazioni e carburante per fare bene su entrambi i fronti”. Allo stesso modo, all’insegna dell’equilibrio, Benedetti si esprime sul tema delle differenze di genere nel mondo del lavoro. “Sono un po’ contraria alle quote rosa”, ammette. “Guardando anche in Sace, dove tante posizioni apicali maschili sono sostituite in modo naturale da manager donne, mi sembra che il processo di cambiamento sia ormai innescato e non ci sia bisogno di soluzioni che rischiano di creare eccessi opposti. Anzi, dal mio punto di vista, se un bravo collega maschio “cisgender” dovesse avere qualche opportunità in meno per motivi legati a questi parametri io lo vivrei come un limite, non come un progresso”.