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Il segreto del successo di Game of Thrones and friends

, di Andrea Quartarone - academic fellow presso il Dipartimento di scienze sociali e politiche
Un format senza tempo, capace di rinnovarsi e prendere il meglio dall'evoluzione di internet e dei social. Le serie televisive vivono in un'eterna golden age

In molti parlano di questa come della golden age della serialità televisiva. Sarà stato il ritorno tra i boschi di Twin Peaks, l'incubo televisivo montato, smontato e rimontato a ogni puntata da David Lynch, il radicarsi nell'immaginario collettivo di Black Mirror, la serie che sposta di due millimetri la realtà per raffigurare terribili panorami di un futuro vicino e possibile, sarà il clamore con cui si è conclusa la settima stagione di Game of Thrones già divertente di suo e poi impreziosita dal fatto che HBO potrebbe trasmettere l'ottava tra più di un anno che è un'eternità nell'universo televisivo.

Sarà – anche – che attorno al business delle serie TV girano molti soldi, e grande è il loro peso sulle economie dei produttori e dei broadcaster, rendendole centrali nei bouquet di offerta dei player.
Bisogna però sfatare un mito, anzi due. Cominciamo col dire che da sempre la serialità televisiva è uno dei prodotti di maggior successo, e i loro titoli ancora accendono gli animi: a partire da Lost, e poi a ritroso Dawson's Creek, Friends, Beverly Hills, ER, Dallas, I Robinson e ancora più indietro gli sceneggiati Rai in Italia e le sitcom americane perbeniste del dopoguerra. Quanto ai numeri è difficile trovare dati d'ascolto aggregati a livelli globali, e quindi ci accontentiamo di quelli statunitensi: l'ultima stagione di Game of Thrones, di particolare successo, ha avuto una media di 10 milioni di telespettatori mentre M*A*S*H, una sitcom degli anni '70 ambientata nella guerra di Corea, nell'arco delle sue 11 stagioni non è quasi mai scesa sotto i 22 milioni di telespettatori medi e ancora oggi è l'unico programma di intrattenimento nella top 20 delle trasmissioni più viste di sempre in America (il resto della classifica è tutto Super Bowl). Certo la televisione negli ultimi quarant'anni è molto cambiata, e la sempre maggiore ricchezza di offerta ha frammentato il pubblico, ma il dato rimane rilevante lo stesso, se non altro per dare una dimensione al seguito di pubblico che le serie TV sempre hanno avuto e presumibilmente sempre troveranno. Il secondo mito da sfatare è invece legato alla variabile economica. Certo Game of Thrones costa parecchio, circa 10 milioni di dollari a episodio, ma la bolla è scoppiata negli anni '90, quando ER costava 13 milioni di dollari a episodio e Friends 10, per buona parte in tasca ai sei protagonisti.

Insomma: pare non ci sia nulla di nuovo, nel panorama televisivo.
Nuovo forse no, ma rilevante sì. Il fatto è che le serie piacciono tanto ai temibili millennial che il sistema televisivo, nel suo insieme, fa fatica ad acchiappare. Due le ragioni principali, sull'onda dell'arrivo e dello sviluppo di internet.
Da una parte il video-on-demand, la principale modalità di fruizione televisiva tra i giovani d'oggi e inventato nei primi anni 2000 dai giovani di allora che hanno cominciato a scaricare illegalmente contenuti audiovisivi da internet. Potendo vedere on-demand quello che si vuole, è naturale che si preferisca un prodotto culturale congelabile, cioè fruibile nel tempo, a differenza per esempio dei telegiornali, dei reality e dei talent, che invecchiano subito e sentono forte la concorrenza del web (e dunque si guardano, se si guardano, in diretta televisiva).

Dall'altra la rilevanza sempre maggiore di dinamiche sottoculturali nelle relazioni tra pari. In altre parole: i gruppi di appassionati. Che sono sempre esistiti, ma per i quali fino agli anni '90 era difficile trovarsi, scambiare idee e discutere, e poi con l'arrivo di internet hanno trovato prima nei forum e poi nei social network una piazza in cui confrontarsi e fomentare a vicenda il proprio interesse per il prodotto culturale. E non c'è niente che accenda gli animi come gli storyworld complessi, ben costruiti, molto appassionanti delle serie TV, che sono per davvero il prodotto culturale ideale per la contemporaneità.