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Datemi una leva (fiscale), e capitalizzero' le aziende

, di Stefano Caselli - Algebris Chair in Longterm Investment and Absolute Return
Il ruolo dello Stato per salvare il sistema economico deve essere sempre guidato da criteri di mercato

Il rilancio delle imprese italiane deve passare attraverso una decisa e capillare azione di capitalizzazione. Più equity permette sia di avere liquidità per la sopravvivenza immediata, sia, soprattutto, di avere la solidità per pianificare il rilancio e la crescita, con minori rischi. Inoltre, più il patrimonio netto è elevato, maggiore diventa il merito creditizio e quindi la capacità di ottenere finanziamenti dal sistema bancario. Sfruttando appieno la garanzia data dallo Stato nell'ambito delle azioni di rilancio organizzate negli ultimi mesi.
Come capitalizzare le imprese in generale? Non esiste un'unica ricetta. Le imprese hanno dimensioni diverse, operano in settori diversi e non si può pensare a un intervento generalizzato di private equity, fino ai mercati finanziari o all'intervento diretto europeo. Al contrario, l'urgenza della capitalizzazione deve distinguere una serie di strati successivi, che partono da una base comune e che si concentrano gradualmente su un numero minore di imprese di dimensioni o potenzialità maggiori. Il recente Rapporto dell'High Level Forum on the Capital Market Union offre una visione molto chiara di questo.

La base comune, che coinvolge le imprese dalla più piccola alla più grande, è la leva fiscale. Il "Decreto di rilancio" affronta solo parzialmente questo aspetto ed è opportuno che nelle prossime settimane riprenda questa sollecitazione, tenendo conto delle raccomandazioni della "Commissione Colao" su questo fronte. La leva fiscale non deve solo uniformare la differenza tra debito e capitale proprio, ma deve favorire comportamenti virtuosi, in modo che il capitale rafforzi una scelta ricorrente. La leva fiscale deve agire su due lati, cioè sull'azienda e sull'azionista. Nel primo caso, il nostro Paese ha più volte visto un tentativo di inserire incentivi in questa direzione (da Prodi al Governo Monti, con la "DIT - Dual Income Taxation" e l'"ACE - Aid for Growth") senza però rendere strutturale il meccanismo. Un consolidamento dell'ACE ad un tasso interessante (ben al di sopra dell'attuale modesto 1,3%) e calcolato non più sulla variazione del patrimonio netto, ma sull'intero ammontare del patrimonio netto, renderebbe molto più grave il problema della capitalizzazione. Nel secondo caso, gli azionisti devono essere incentivati a trasferire parte del loro patrimonio alla loro società. Una riduzione (eliminazione?) della tassazione sui dividendi per chi detiene il capitale per un certo periodo di tempo e, molto più coraggiosamente, una riduzione dell'aliquota IRES o IRPPEF per chi investe in un aumento di capitale, sarebbe una svolta formidabile.

Per le aziende più grandi e per quelle con il più alto potenziale di sviluppo, oltre alla base comune, si dovrebbe promuovere l'uso del mercato finanziario e l'intervento degli investitori (private equity, venture capital, ELTIF). La questione rilevante oggi è come conciliare questa esigenza con quella, altrettanto importante, dell'utilizzo di risorse pubbliche, sia nazionali che europee, cioè attraverso il Recovery Fund. Il rischio da evitare è quello di una nazionalizzazione dell'intervento in equity e di un crowding-out del mercato. La strada giusta, invece, è quella di trovare le condizioni affinché l'intervento dello Stato sia pienamente sfruttato e segua la logica del capitale privato.

Ci sono tre linee guida fondamentali per l'intervento dello Stato. In primo luogo, l'utilizzo del mercato dei capitali è decisivo, in quanto i vantaggi noti (visibilità, accesso a risorse aggiuntive, crescita) sono ancora più importanti in una fase di crisi. In questo caso, avrebbe molto senso giocare la carta di un premio aggiuntivo sia per ACE che per gli azionisti. In secondo luogo, gli investitori in equity, sia quotati che non quotati (cioè venture capital, private equity, ELTIF) devono essere valutati con un chiaro incentivo sul capital gain, che è il vero elemento che crea il mercato e attira gli investitori generando liquidità. In terzo luogo, l'intervento dello Stato deve avvenire o con una chiara e autonoma logica di mercato o attraverso il necessario sostegno agli investitori privati. Un meccanismo in questo caso di partenariato pubblico-privato darebbe infatti una forza d'urto - la presenza dello Stato - unita all'agilità e all'orientamento al profitto tipico del settore privato. Quest'ultimo punto è la vera sfida: in una fase di crisi, lo Stato è centrale e deve progettarei giusti incentivi e meccanismi fiscali. Ma per il rilancio dell'economia, la presenza dello Stato non deve essere confusa con l'uso della logica statale. Questo significherebbe abdicare al ruolo di rilancio del nostro Paese e una perdita netta per i contribuenti.