Contatti
Il ceo di Dedalus Alberto Calcagno riconosce le potenzialità della tecnologia, ma invita a non farne “solo un esercizio di stile”. E sprona l’industria dell’healthcare a sviluppare casi d’uso che possano cambiare la vita delle persone: “Serve intercettare i bisogni”

Sarà vera rivoluzione quando l’intelligenza artificiale verrà usata per cambiare i processi “core” di una organizzazione, fino ad allora “è solo un esercizio di stile”. A mettere in guardia dalle facili illusioni sull’uso del’AI nel business è Alberto Calcagno, da 25 anni sulla frontiera della tecnologia e oggi alla guida di un big del software per l’health care come Dedalus, con circa 8mila dipendenti distribuiti in trenta paesi. “Il super-hype che si respira rischia di sgonfiarsi se il responsabile per l’IA continuerà a essere 3-5 gradini sotto l’amministratore delegato: così siamo lontani anni luce dall’integrare la tecnologia nella vera strategia di un gruppo”, sottolinea il top manager per oltre 13 anni sulla plancia di comando di Fastweb.

Stiamo perdendo tempo?

Come tutte le rivoluzioni tecnologiche, l’intelligenza artificiale è spinta dai provider tecnologici che ci raccontano un mondo diverso grazie all’AI. Ma sono gli use case che intercettano i bisogni delle persone a fare la differenza. Se dalla teoria non si passa al concreto stiamo parlando di un esercizio di stile tecnologico. In Italia, ma potrei parlare per tutte le nazioni, l’ottanta per cento degli investimenti imputati all’IA sono ancora per le consulenze che aiutano le aziende a capire come e se usare l'intelligenza artificiale, magari in parti assolutamente marginali del business. Per far sì che l’AI abbia l’impatto sulla società che ha avuto internet bisogna andare sul concreto. 

Come si fa a non perdere le occasioni che lo sviluppo dell’informatica mette a disposizione della scienza?

Serve una presa di coscienza e applicare l’intelligenza artificiale ai processi strategici. In Dedalus sono due i macro ambiti dove ci stiamo misurando: servizi ai pazienti e i processi interni. Noi siamo un'azienda di software e sviluppiamo programmi: la grande sfida specialmente con l’intelligenza artificiale generativa è sviluppare direttamente da macchina o con mix uomo-macchina per permettere ai nostri 3mila sviluppatori di aumentare le loro capacità. Questo significa posizionare la tecnologia al centro dei processi strategici e cercare un impatto epocale sul modello di business: se riesco a sviluppare a velocità doppia, tripla posso andare sul mercato e innovare tutto il processo molto più velocemente a beneficio dei nostri clienti, che sono gli ospedali, e dei loro clienti, che sono i pazienti.

 Se per gli ospedali l’accelerazione è nei software, per i pazienti cosa mette in campo l’AI? 

Sono due gli ambiti di applicazione che stiamo studiando. Il primo è quello relativo ad algoritmi che, sulla base dei parametri medici, siano in grado di anticipare la probabilità che ci sia un determinato decorso clinico per gestirlo nei tempi ottimali e curare al meglio la patologia. Un impatto profondo, con il software di intelligenza artificiale che supporta il medico che alla fine decide. Abbiamo certificato come Dispositivi Medici cinque diversi algoritmi predittivi e adesso lo estenderemo ad altre 15 e poi ancora ad altre 30. È informatica che diventa gestione clinica, il software ti dà dei suggerimenti. 

Qual è la seconda strada che state percorrendo?

Lavoriamo sulla diagnostica per immagini. L’intelligenza artificiale può permettere di facilitare e rendere più efficace l’attività di medici e infermieri nella gestione delle ferite, grazie alla capacità dell’algoritmo di riconoscere automaticamente ed in modo tridimensionale la ferita grazie ad una semplice fotografia presa dal cellulare. Questo permette di risparmiare parecchio tempo (oggi tutte le dimensioni ed osservazioni sono registrate manualmente) nonché di assicurare una migliore qualità della cura. Una soluzione che va assolutamente nella direzione giusta, perché permette di “ridare tempo paziente” ai clinici ed al contempo migliori risultati clinici ai pazienti.

Perché è difficile andare a trasformare i processi consolidati, anche quando l’innovazione offre delle soluzioni più semplici ed efficaci?
Per fare queste robe serve coraggio, normalmente il coraggio che parte dal ceo. Altrimenti l’intelligenza artificiale viene fatta lavorare su come ottimizzare l'occupazione degli spazi in ufficio… In Dedalus il responsabile dell'AI è un mio primo riporto ed è anche responsabile della strategia di prodotto. Ma in questo mondo non può essere solo Dedalus perché non basta: ci devono essere molte più aziende che hanno il coraggio di lavorare con l'AI sui processi core.

L’industria dell’healthcare è stata capofila in molte rivoluzioni tecnologiche, se guarda nello specifico al suo settore come vede il futuro dell’AI?

Tutti parlano di intelligenza artificiale, ma se la domanda è quante aziende l’hanno portata al centro della strategia le rispondo che sono meno del 10%. Il passaggio più delicato, come sempre, è quello dalle parole ai fatti: bisogna avere il coraggio di investire, di prendere decisioni organizzative. Fino a quando nelle aziende sarà più affollato l’ufficio legale rispetto al dipartimento che si occupa di intelligenza artificiale saremo molto lontani e l’AI resterà solo un esercizio di stile. La sfida, che però non tutti capiranno, è di ribaltare lo scenario e lavorare per arrivare all’estremo opposto. Non sarà semplice, ma se non si farà così l’intelligenza artificiale non potrà avere quell’impatto positivo che in tanti si aspettano. Esattamente come è accaduto per il 5G per il quale c’era tanta attesa e che oggi è sinonimo solo di maggiore banda.

 

Vai al focus sull'Intelligenza artificiale