
AI, l’impatto maggiore è nelle economie avanzate
A una conferenza a Parigi nel febbraio 2025, i CEO delle aziende tecnologiche più coinvolte nello sviluppo dell’AI hanno fatto dichiarazioni roboanti: secondo Sundar Pichai (Alphabet) “l’AI sarà il più profondo cambiamento dei nostri tempi”, mentre per Sam Altman (OpenAI) “in un decennio ogni abitante della Terra potrà realizzare più di quanto la persona con il più grande impatto possa fare oggi”. In realtà i risultati dei recenti, velocissimi cambiamenti della tecnologia sul mondo del lavoro sono ancora incerti, frammentari e difficili da prevedere: da un lato l’AI promette di aumentare la produttività e di essere di complemento all’intelligenza umana, dall’altro sembra poter rimpiazzare del tutto gli umani in molte attività lavorative. Dunque, ci potrebbero essere guadagni importanti della produttività in molte professioni, mentre altre potrebbero essere decimate dalla diminuzione della domanda, o addirittura del tutto sostituite dall’AI. Un report del Fondo Monetario Internazionale (FMI, 2024) prevede che l’Intelligenza Artificiale avrà influenza sul 40% dei posti di lavoro globalmente, e fino al 60% nelle economie avanzate. Dati più recenti, raccolti ed elaborati da Anthropic Economic Index (2025), un’iniziativa open source che monitora l’utilizzo dell’AI nel lavoro e nell’economia, dicono che l’AI è ad oggi ancora prevalentemente usata per aumentare le capacità umane (57%) mentre per il resto (43%) la tecnologia esegue direttamente compiti specifici sostituendosi all’uomo.
Ad oggi sembra che i compiti e le occupazioni con maggiore adozione di AI siano quelli associati a occupazioni di medio-alto livello, come programmatori, ingegneri del software e data scientist, mentre sembra avere meno impatto sui ruoli apicali che richiedono capacità di decisione e visione strategica. Contrariamente alle precedenti ondate di cambiamento dovute all’evoluzione della tecnologia che hanno colpito per primi i lavoratori con basso livello di conoscenze e skills, l’AI ha per ora il suo impatto maggiore sulle economie avanzate proprio perché in queste sono prevalenti i lavori intellettuali ad alto reddito e ad alta specializzazione. Non sorprende che le occupazioni che comportano un elevato grado di lavoro fisico o di destrezza manuale siano, al momento, le meno impattate. Ma questi scenari, come la tecnologia stessa, sono in costante evoluzione. Da un lato si vedono già sviluppi dove anche il lavoro manuale e di servizio verrà progressivamente sostituito dall’automazione, dall’altro il miglioramento costante delle capacità dell’AI potrebbe portare al capovolgimento dell’attuale prevalente ruolo di “augmentation” delle competenze umane a favore invece della cosiddetta “automation”, cioè la totale sostituzione delle funzioni dei lavoratori. Questi scenari, tutt’altro che remoti, pongono sul piano individuale e collettivo profondi interrogativi riguardo al crescere delle diseguaglianze e al significato dell’assenza del lavoro nella vita delle persone.
Sul primo punto, studi recenti (Otis et al., 2023; Roldan-Mones, 2024; Toner-Rodgers, 2024; Kim et al., 2024) suggeriscono che, contrariamente a precedenti conclusioni, non solo i lavoratori con meno skills non saranno i principali beneficiari delle opportunità create dall’AI, ma, anzi, che il divario di reddito e di rilevanza si amplierà tra lavoratori ad alte e basse competenze e che saranno i lavoratori più competenti ad essere avvantaggiati in quanto meglio equipaggiati dato il loro expertise e le loro capacità di giudizio e pensiero critico nell’indirizzare le domande e nel valutare i risultati degli agenti AI. La storia suggerisce che i grandi cambiamenti tecnologici favoriscono chi ha più competenze, creando ulteriori benefici per coloro che hanno capacità di giudizio, agilità ed esperienza nel navigare ambienti complessi e ricchi di informazioni. Se nel breve l’AI aumenta la produttività, l’impatto a lungo termine sarà una diminuzione delle skills di molti lavoratori e l’aumento dei compiti automatizzati in un gran numero di occupazioni anche in lavori non routinari e creativi. Ovviamente, come in tutte le ondate di cambiamento tecnologico, possiamo aspettarci nei prossimi anni la creazione di nuovi lavori e di occupazioni che oggi non esistono e che non riusciamo a immaginare. Ma quel che è diverso oggi rispetto al passato è che la filosofia con cui queste tecnologie sono nate non è quella delle altre rivoluzioni tecnologiche, cioè di migliorare o affiancare il lavoro umano (teorie socio-tecniche) ma quella, esplicitamente dichiarata dai tecnologi digitali, di sostituire il lavoro umano sia nel suo agire pratico che nel pensiero. Primo Levi scriveva nella Chiave a Stella “se si escludono istanti prodigiosi e singoli che il destino ci può donare, l’amare il proprio lavoro costituisce la migliore approssimazione concreta della felicità sulla terra”: con l’avvento dell’AI possiamo chiederci che cosa resterà agli umani nel loro forzato tempo libero dal lavoro?