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#BocconiCorrespondents ... da Nagoya, Giorgio Colombo

, di Giorgio Colombo - Professore di diritto alla Nagoya University, alumnus Bocconi 2003
Professore alla Nagoya University e alumnus Bocconi, classe 2003, Giorgio sottolinea la decisione del Giappone di non seguire le indicazioni dell'Oms e ci ricorda che sia il governo centrale che quello locale insistono su una politica di distanziamento sociale morbida

Saluti da Nagoya, Giappone!
La vita a Nagoya va avanti quasi normalmente. La maggior parte delle persone indossa le mascherine, ma questo in Giappone è normale, soprattutto in inverno o durante la stagione delle allergie. L'idea è sempre stata quella di proteggere gli altri quando si starnutisce o tossisce.

Con poche eccezioni, i negozi sono ancora aperti, è ancora possibile circolare liberamente e fare esercizio fisico: nonostante la dichiarazione di uno stato di emergenza nazionale, il governo in pratica raccomanda solo di evitare le "uscite non essenziali" e gli eventi sociali.
Il Giappone è stato uno dei primi Paesi ad essere colpito dall'epidemia di Covid-19 alla fine di gennaio 2020, ma il Governo ha fatto un enorme sforzo per controllare (o, secondo alcuni, minimizzare) la situazione: cercando i contatti in modo intensivo attraverso tecniche investigative classiche che hanno permesso di individuare e isolare primi cluster.

Recentemente, però, le cose si sono fatte più serie e ora il Giappone sta vedendo l'esplosione di una serie di focolai che non possono essere chiaramente tracciati. Inoltre, il Paese aveva deciso fin dall'inizio di non seguire le indicazioni dell'Oms e di limitare il ricorso ai test al minimo indispensabile: questo naturalmente ha mantenuto bassi i numeri, ma ha anche impedito alle autorità di avere un quadro chiaro della situazione.

Ora il numero di casi registrati è passato da meno di 1.000 a più di 9.000 in poche settimane, e il ritmo sta accelerando. Eppure, sia il governo centrale che quello locale insistono su una politica di distanziamento sociale "morbida". È una scommessa enorme, e il rischio è molto alto: speriamo comunque che il Giappone sia ancora in grado di contenere il problema.
La vita universitaria ne è stata ovviamente influenzata: tutte le lezioni sono state spostate online, e, seppur con qualche resistenza, anche le riunioni amministrative non si svolgono più in presenza, ma in remoto. Ora stiamo cercando di imparare ad usare al meglio i software di videoconferenza, ma le cose stanno andando abbastanza bene.

Viaggiare all'estero è sempre stata una delle componenti chiave del mio lavoro. La mia università ha diversi progetti in corso in Cambogia, Myanmar, Uzbekistan, Vietnam e altri Paesi. Ora che i viaggi internazionali si sono interrotti, anche la comunità accademica è limitata nei movimenti, e mi mancano profondamente la libertà e il profondo senso di appartenenza a quell'ambiente internazionale. Ma non arrendiamoci, e troviamo modi nuovi e creativi per continuare la nostra cooperazione e il nostro scambio!
Per concludere, vorrei porgere i miei saluti alla comunità Bocconi, ai miei colleghi Alumni e alla mia amata città di Milano. Siate forti e state al sicuro: tutto questo finirà, e una volta finito dovremo essere energici e creativi!

#BocconiCorrespondents - Giorgio’s view of life in Japan in Coronavirus times

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