Contatti
Persone Stefania Di Bartolomeo

Il colore verde della finanza è quello della sostenibilità

, di Diana Cavalcoli
Per la founder e ceo di Physis Investment a contare più del solo profitto è l’impatto che si può avere. E alle più giovani dice: “lo spazio c’è, basta credere in se stesse”

«Sono arrivata in Bocconi quasi per caso. Inizialmente avevo pensato di iscrivermi a Medicina ma su suggerimento dei miei genitori, che ripetevano “sei brava in matematica”, ho scelto di tentare il test e da lì ho scoperto la finanza». Stefania Di Bartolomeo oggi è fondatrice e CEOdi Physis Investment, società fintech che opera a livello globale portando un nuovo livello di trasparenza nel settore finanziario e consentendo agli investitori di misurare e monitorare l'impatto dei loro investimenti attraverso i dati. Grazie alla laurea in Economia e Finanza in Bocconi, al Master of Art in finanza sostenibile ad Harvard e un curriculum costruito tra Italia e Olanda, è tra le massime esperte nel campo della finanza verde. 

Prima di creare la sua startup e diventare tra le altre cose guest lecturer in molte universita’, Di Bartolomeo ha dovuto superare i dubbi rispetto al percorso scelto. Racconta: «I primi anni dell’università sono stati bellissimi, ricordo il forte senso di comunità e le relazioni con i compagni poi diventati amici. Ad un certo punto però studiando le diverse materie, dai derivati alla costruzione dei portfoli, ho avuto come un senso di disconnessione, un distacco emotivo da quello che stavo facendo. Non volevo fare finanza nel suo mero aspetto speculativo, mancava qualcosa». Grazie ad alcuni professori si avvicina così alla finanza etica anche se al tempo non esistevano corsi dedicati alla materia o libri di testo. «Mi affascinava la finalità diversa nell’utilizzo degli strumenti finanziari, non c’era solo la pura massimizzazione del profitto. Ricordo che studiavo quasi da autodidatta perché la letteratura sul tema era ancora agli inizi», aggiunge.

Dopo la laurea nel 2014 sceglie così di specializzarsi negli Stati Uniti ed entra ad Harvard. «Mi colpì da subito - dice - il fatto che oltre ai titoli di studio dovevi presentarti nella lettera per l’ammissione come individuo e non come studente. Ricercavano i leader di domani e dalle prime lezioni era chiaro che fossero interessati alle nostre idee e all’impatto che potevamo avere sul mondo».

Un po’ per volta nasce così la consapevolezza di voler impattare sul mondo finanziario attraverso metriche nuove. Le prime esperienze lavorative sono così ad Amsterdam sempre nell’ambito della sostenibilità dove lavora per Sustainalytics e poi in Italia come fund manager per il primo fondo ad impatto del Paese in Sella Sgr. «Avevo appena 27 anni e dovevo costruire un portafoglio dal nulla. Ricordo che non smettevo mai di studiare, se volevo essere innovativa dovevo aggiornarmi costantemente. Mi ripetevo spesso che le cose studiate ieri erano già vecchie. E poi ho fatto in modo di creare un network di supporto. Persone competenti con cui condividere dubbi e strategie». 

Tutte esperienze tornate estremamente utili nella creazione di Physis. «Avevo trent'anni e mi sono resa conto che volevo qualcosa di diverso. Come fund manager ero tra i più giovani,, e faticavo ad ottenere riconoscimenti economici per il mio lavoro nonostante i risultati. Nel contesto culturale italiano, mi veniva detto: “non puoi guadagnare più che un 45enne”. Ed era per me inaccettabile come mentalità. Il giorno dopo il mio compleanno ho deciso di lasciare l’Italia senza avere un altro lavoro». Un salto apparente nel vuoto che la porta però a collaborare con i suoi professori e ad avviare consulenze per diversi enti in ambito sostenibilità.  

Esperienza dopo esperienza, prende forma l’idea di una startup che viene sviluppata grazie al programma Usa Fintech Sandbox. Nasce così la piattaforma che oggi conta 15 persone e raccoglie dati utili a valutare l’affidabilità di un’azienda e ad effettuare controlli incrociati per estrapolare informazioni a sostegno degli investimenti. Con clienti tra Europa e Stati Uniti. «Possiamo ad esempio sapere quanta C02 ha consumato una società o quanta acqua e’ stata ricicla in un anno. Sull’inclusione è possibile sapere quante donne sono state assunte e in che ruoli, monitorando il gender gap», aggiunge. 

Da startupper Di Bartolomeo spiega che ha imparato molto: «ero sempre stata convinta che il successo della societa’ dipendesse interamente da me e il mio team, complice lo scandalo Silicon Valley Bank di cui eravamo clienti, ho realizzato che potevo fallire anche per cause esterne. Quell’esperienza, da cui siamo usciti più forti di prima, mi ha fatta maturare molto come imprenditrice, ho capito che, per avere successo è fondamentale valutare i fattori di rischio esterni e il contesto del mercato in cui si opera». Alle più giovani interessate alla finanza sostenibile dà quindi un consiglio: «Il mercato è cresciuto tantissimo e la finanza sostenibile è un mondo in divenire, si può fare la differenza anche perché c’è bisogno di nuovi talenti. Lo spazio non manca ma bisogna credere nelle proprie potenzialità».