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#BocconiCorrespondents da Bruxelles Alessandro Gropelli

, di Alessandro Gropelli - Alumnus 2009, Direttore strategia e comunicazione ETNO
Nel caos dei singoli interessi nazionali, scrive Alessandro, non riusciamo quasi piu' a sentire la voce dell'Europa. Anche qui, nelle strade ora silenziose di Ixelles, dove i pochi passanti parlano francese, fiammingo, italiano, spagnolo e tutte le altre lingue europee. Il quartiere europeo, distante qualche chilometro, sembra distantissimo e ormai e' anch'esso sospeso nel deserto del lockdown

Vengo dall'industriosa provincia Bresciana, in Italia, ma da 10 anni vivo e lavoro e Bruxelles, la capitale dell'Unione europea. Dalla cittadina di Chiari, passando per il Liceo Classico a Brescia e per la Bocconi a Milano, dopo quasi un anno a Tokyo sono finalmente atterrato a Bruxelles. E da Bruxelles vi scrivo, chiuso in casa, in lockdown nel quartiere multiculturale di Ixelles, dove la presidentessa del consiglio comunale e'... una signora bresciana (Monica Frassoni).

Il sogno
Il mio sogno europeo e' nato in lunghi e trasognati pomeriggi estivi, all'ombra dei platani lombardi e in sella ad una bicicletta. Volevo vedere il mondo, e volevo vivere l'Europa. Ora in quell'Europa sognata ci sono, e ci lavoro da un decennio. Oggi, sono Direttore Strategia e Comunicazione per l'associazione europea delle telecomunicazioni, ETNO. L'università Bocconi mi ha aiutato ad arrivarci. È (era?) un'Europa costruita sulla promessa che i giovani avrebbero potuto studiare ovunque, e poi usare il proprio passaporto nazionale per lavorare, sempre ovunque. È (era?) un'Europa basata sui voli low-cost, sulle frontiere aperte, sull'impararsi almeno due o tre lingue. Un'Europa in cui trovare un ragazzo o una ragazza di qualsiasi nazionalità, e magari avere figli, e magari vivere tra uno o più paesi.

La malattia
Per pochi, e forse per poco, quell'Europa è esistita, esiste (ancora). Ma poi è arrivato il coronavirus. Gli anziani che passeggiavano sotto i platani di Chiari si sono ammalati tra i primi. Poi si sono ammalati gli altri: gli adulti, e anche tanti giovani. La Lombardia Ä— diventata prima zona rossa, poi gialla. Poi tutta l'Italia. I voli si sono fermati. I passaporti non danno più molti diritti. Le frontiere si sono chiuse. E molte coppie, molte famiglie europee sono state colte di sorpresa, separate da muri invisibili, eppure invalicabili. Dalla parte sbagliata della storia, senza volerlo. L'immigrazione (quella legale), non esiste più. Gli egoismi nazionali litigano sul tavolo del Consiglio europeo, mentre le istituzioni "federali", Commissione e Parlamento, faticano a portare avanti soluzioni condivise, e a farsi sentire dai cittadini. Nel caos dei singoli interessi nazionali, non riusciamo quasi più a sentire la voce dell'Europa. Anche qui, nelle strade ora silenziose di Ixelles, dove i pochi passanti parlano francese, fiammingo, italiano, spagnolo e tutte le altre lingue europee. Il quartiere europeo, distante qualche chilometro, sembra distantissimo e ormai è anch'esso sospeso nel deserto del lockdown.

La guarigione?
È presto, forse, per sperare nella guarigione. Ma non è troppo presto per progettarla. Tra le vie di Bruxells vuote, ogni sera, alle 8, tutti ci affacciamo dai balconi per applaudire. Accade, alla stessa ora, anche Londra. E a Madrid, sempre di sera. E a Roma, a Milano, all'ora di pranzo. Applaudiamo tutti i nostri medici e le nostre infermiere, applaudiamo la sanità pubblica. Ripartiamo da qui. Dalla sanità pubblica, che è una cosa bella, una cosa europea. Molto europea. E allora questa guarigione progettiamola insieme. Che sia una guarigione italiana, europea. Possiamo tornare a volare, a dimenticare le frontiere che oggi ci dividono. Possiamo riunire le famiglie, e darci delle nuove opportunità. Abbattere quello stretto orizzonte che sono i muri delle nostre case in quarantena, che sono i confini nazionali. Solo quando torneremo a sognare europeo, sapremo di essere davvero guariti.



#BocconiCorrespondents - A view of lockdown from Alessandro in Brussels

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