Uno stadio per non dipendere dalla tv
Pareggio di bilancio e autofinanziamento: sono questi i due punti cardine della politica di salvaguardia dell'equilibrio economico di lungo termine dei club europei promossa dal presidente dell'Uefa Michel Platini. Il fair play finanziario, almeno nelle sue intenzioni, si pone come obiettivi primari l'aumento della lealtà economica nelle competizioni europee e la stabilità nel tempo delle società di calcio e si tradurrà, verosimilmente, nell'obbligo per i club di raggiungere l'equilibrio tra ricavi e costi.
Sebbene l'entrata in vigore del regolamento, inizialmente prevista per il 2012, slitterà probabilmente al 2015, è necessario comunque interrogarsi sin da subito su quanto siano pronti i club italiani ad affrontare i vincoli posti dal fair play finanziario. Le società di calcio, non solo nel nostro paese, presentano un notevole grado di rischio operativo, dovuto, da un lato, all'elevata volatilità dei ricavi, legati ai meccanismi delle promozioni/retrocessioni e alla partecipazione alle competizioni internazionali, e, dall'altro, a una significativa rigidità della struttura di costo. Il dibattito, negli ultimi anni, si è dunque diviso tra la necessità di individuare una soluzione per contenere la dimensione degli ingaggi e l'opportunità di diversificare il mix dei ricavi. Quest'ultimo aspetto risulta particolarmente rilevante nel caso delle società di calcio italiane: dalle analisi di Deloitte sui dati di bilancio 2009 (Football Money League, marzo 2010), emerge che i grandi club italiani derivano, in media, il 58,4% dei ricavi dalla cessione dei diritti televisivi. Questa eccessiva dipendenza dagli introiti garantiti dalle televisioni, oltre che costituire di per sé una rilevante fonte di rischio operativo, potrebbe generare ulteriori problematicità se si considera che, a partire dalla prossima stagione calcistica, è previsto il ritorno alla contrattazione collettiva dei diritti tv: tale meccanismo, garantendo una più equa distribuzione delle risorse tra tutte le società, potrebbe ridurre la quota di diritti fino ad oggi ottenuta dai grandi club, ovvero quelli che partecipano alle competizioni internazionali e che risultano maggiormente interessati dalle norme sul fair play finanziario in via di definizione. Alla luce di tali considerazioni, risulta improcrastinabile la ricerca di un più equilibrato mix delle componenti positive di reddito. Una possibile soluzione potrebbe derivare dalla scelta, per le società calcistiche, di disporre di stadi di proprietà. Tale opzione, sulla quale molti club stanno già attivandosi, potrebbe essere ulteriormente favorita dalla legge sugli stadi, sulla quale da tempo si sta lavorando nelle opportune sedi parlamentari, che prevederebbe incentivi a favore dei club che intendono realizzare progetti di questo tipo. Non mancano, a tal proposito, esempi di successo in ambito europeo: si pensi, tra le squadre inglesi, al Manchester United, che deriva il 39% dei propri ricavi dalla vendita di biglietti (per oltre 127 milioni di euro). Ancor più interessante è il caso dell'Arsenal, che genera il 45% dei ricavi attraverso l'Emirates Stadium, a cui vanno aggiunti, peraltro, gli introiti dei naming rights e quelli derivanti dallo sfruttamento dell'area su cui sorgeva il vecchio stadio, oggetto di un'operazione di sviluppo immobiliare che ha prodotto, solo nel 2009, oltre 100 milioni di euro di ricavi. Il miglioramento delle condizioni di equilibrio delle società di calcio non può, tuttavia, derivare solo da interventi legislativi, come, ad esempio, il "decreto salva-calcio" del 2002, o di carattere straordinario, come le operazioni di sale and lease back dei marchi realizzate tra il 2005 e il 2006 per generare plusvalenze. È necessario procedere a una sistematica riduzione dei rischi operativi e un organico sviluppo dei ricavi commerciali, attraverso lo sfruttamento di stadi di proprietà, potrebbe costituire l'elemento principale di tale strategia.