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Una finanza unitaria in nome del pareggio di bilancio

, di Gian Luca Podestà - ordinario presso l’Università di Parma e docente di storia economia alla Bocconi
Già nel 1870 le prerogative dei comuni furono ridimensionate per poter seguire un obiettivo che fece perdere le elezioni alla Destra

La finanza pubblica degli antichi stati italiani era quella tipica delle società d'ancien régime: la quasi totalità delle entrate fiscali proveniva dalle imposte indirette (monopoli sul sale e sul tabacco, dazi sul commercio e sui consumi). Era un sistema fiscale regressivo, caratterizzato da sperequazioni, esenzioni e privilegi. In alcuni stati vigeva ancora una concezione patrimonialistica della finanza pubblica e i beni statali coincidevano con quelli del sovrano. Le entrate erano sufficienti per lo più a fronteggiare le spese ordinarie della corte, della burocrazia e della milizia. In caso di spese straordinarie per guerre o infrastrutture, come nel caso dello Stato sabaudo, si contraevano forti prestiti all'estero e si procedeva all'emissione di titoli del debito pubblico.

Una delle questioni più complesse che i governi della Destra storica dovettero affrontare fu proprio la creazione di un sistema fiscale che finanziasse l'elevata spesa pubblica, facendo fronte ai pesanti deficit di bilancio dei primi anni. Il nuovo stato aveva ereditato il debito contratto dal Piemonte per le guerre di unificazione, mentre il Regno delle Due Sicilie, secondo il rendiconto del 1861, raggiungeva sostanzialmente il pareggio di bilancio.

Non sarebbe corretto affermare che all'Italia sia stato applicato il sistema fiscale piemontese, ma certamente la distanza tra i sistemi piemontese e lombardo e quello del nuovo stato era inferiore a quella delle province meridionali, ove l'imposizione fiscale era moderata. Le imposte più moderne erano quelle sui redditi, suddivise in tre voci: l'imposta sui terreni, quella sui fabbricati e quella sulla ricchezza mobile. Le prime scontavano la forte differenza dei catasti: geometrico-particellari al Nord e descrittivi al Sud. La terza era una nuova imposta modellata sull'income tax inglese.

Ai comuni furono riservati i dazi sui consumi, alcuni tributi specifici (commercio, famiglia, bestiame) e la facoltà di introdurre aliquote sulle imposte statali. Nel 1870 però tali prerogative furono ridimensionate, sacrificando la finanza locale a beneficio di quella nazionale, nonostante i comuni fossero gravati da spese di interesse generale come la giustizia e l'istruzione elementare.

L'imperativo era quello del pareggio di bilancio, il cui raggiungimento nel 1876 fu quasi un miracolo. All'inizio il disavanzo era enorme: nel 1862 le entrate coprivano a malapena il 58% delle spese correnti, mentre nel 1868 la copertura della spesa pubblica era pari al 73%. La Destra storica pagò la propria politica fiscale: nel 1878 fu battuta dalla Sinistra e nel paese si generò una rivoluzione politica. Si sfuggì però alla disgregazione, che tanti avevano pronosticato.

È difficile dire se vi fossero alternative. La discussione sul federalismo vi fu, ma venne velocemente relegata ai margini. Certo, le condizioni giustificavano la politica dei governi nazionali: la crisi finanziaria, il brigantaggio, l'ostilità della Chiesa, il fatto che il Risorgimento sia stato una rivoluzione di élite, la lontananza delle masse dal nuovo stato nazionale. Il paradosso è che gli uomini della Destra prediligevano il decentramento anglosassone, però adottarono il modello francese per le oggettive difficoltà.

Forse è utile una comparazione con la Germania, la cui unificazione ha alcune somiglianze con la nostra, e ove si adottò un modello federale che ha funzionato fino a oggi. Dopo la guerra di Baviera e Austria contro la Prussia, la costruzione del nuovo stato procedette rapidamente assieme al concepimento dell'ideologia nazionale tedesca. Neanche la politica anticattolica di Bismarck incrinò il sentimento nazionale dei bavaresi.

Forse all'Italia è mancato proprio un modello di nazionalizzazione delle masse simile a quello tedesco e un analogo spirito di cittadinanza. Certo la riforma di Lutero aveva in parte contribuito alla creazione di uno spirito tedesco e, soprattutto, ad elevare le masse alfabetizzandole. Può non essere privo di importanza il fatto che i ceti dirigenti liberali, non riuscendo a sanare il conflitto con la Chiesa, non siano riusciti a colmare il distacco delle masse dallo stato nazionale.