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Persone Ambra Martone

Una carriera che lascia la scia

, di Pietro Masotti
Ambra Martone si è costruita una specializzazione nella filiera del profumo, fino ad approdare all’azienda di famiglia ICR Aziende Cosmetiche Riunite. “C’è chi trova le quote rosa una soluzione forzata o poco democratica, ma siamo talmente lontani dalla parità che a me sembrano ancora assolutamente necessarie”

“Sognavo fin da piccola di seguire la scia profumata dell’azienda di famiglia. Ho il profumo nel dna… e anche nel nome. Il mio percorso professionale mi è sembrato chiaro piuttosto presto: volevo essere parte dell’impresa fondata da mio nonno e portata al successo da mio padre”. Ambra Martone oggi in effetti è vicepresidente di ICR - Industrie Cosmetiche Riunite, azienda che produce e distribuisce profumi e cosmetici per numerosi brand del lusso, un ruolo al quale è approdata dopo un itinerario formativo cominciato proprio in Bocconi. “Prima di lavorare per l’azienda di casa, ho investito tempo ed energie in una formazione importante, cercando di esplorare strade nuove, soprattutto all’estero. Non ho mai creduto alla favola del talento che porta al successo: dietro a ogni persona che eccelle io vedo sempre tanto studio, preparazione, applicazione e dedizione. Ho scelto la Bocconi, e il Cleacc in particolare, al suo primo anno, perché pensavo mi avrebbe consentito di rimanere in contatto con una sfera artistica e culturale che sentivo più vicina a me. Avere buoni voti mi ha consentito di scegliere le destinazioni più interessanti per i periodi di studio all’estero, sono stata in Erasmus in California e poi, dopo la laurea, ho cercato di costruirmi una specializzazione nella filiera del profumo”.

La carriera di Ambra Martone passa dall’impiego in colossi chimici che lavorano all’estrazione delle materie prime e alla sintesi delle essenze, fino ad approdare alla casa Firmenich, a New York, dove affianca alcuni dei più celebri “nasi” nella creazione di fragranze per i marchi americani. “Da perfezionista, ho sempre l’idea che ci sia ancora qualcosa da migliorare e che il mio compito non sia mai finito”, riflette la manager, che è anche presidente dell’Accademia del Profumo. “Per me non è facile cambiare lavoro, mi è capitato più spesso che siano stati eventi esterni a spingermi alla decisione. Quando ero a New York, per esempio, proposero a mio marito un lavoro a Ginevra e io ho cercato un possibile ruolo in quella città. L’ho trovato nella divisione lusso di P&G che gestiva le licenze e i marchi di alcune fragranze del settore lusso. In Svizzera sono nati i miei tre figli e sarei anche rimasta, ma, dopo 15 anni ininterrotti all'estero, ho voluto tornare a casa anche per senso di responsabilità nei confronti dell'azienda familiare che in quel momento era condotta da mio padre e mia sorella Giorgia”. Un passaggio non sempre facile da gestire, quello dell’ingresso di un nuovo soggetto in una società familiare. “È vero, è un momento delicato, ma nel nostro caso è avvenuto tutto in modo molto soft, dividendoci i ruoli in armonia e riuscendo anche a goderci il rapporto tra di noi sul lavoro. Conciliare lavoro e famiglia, sia quella di origine che la propria, d’altra parte è la sfida delle sfide”. Un obiettivo per ottenere il quale Ambra Martone segue una regola ferrea. “Se un impegno familiare è fissato in agenda come prioritario, bisogna saper dire dei no. Il proprio privato è da rispettare perché non è meno importante della propria professione. Se il lavoro è una passione sarà più difficile farlo, ma bisogna imporselo. Questo vale naturalmente anche per gli uomini”.

Nonostante si muova in un settore, quello dei profumi e della cosmetica, a maggioranza femminile, la vicepresidente di ICR sul tema del gender gap non arretra. “C’è chi si lamenta delle quote rosa perché le trova una soluzione forzata o poco democratica, ma siamo talmente lontani dalla parità che a me sembrano ancora assolutamente necessarie. Esiste un condizionamento sociale involontario molto forte che agisce anche su persone che si considerano super partes ma che, alla prova dei fatti, non si dimostrano così. Quanti, tra coloro che si dichiarano di mentalità aperta, sarebbero disposti, per esempio, ad approvare un periodo di paternità obbligatoria di due mesi durante il quale il papà resta a casa con il neonato per consentire alla mamma di rientrare in ufficio?”.