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Tutti i modi di dire diritto. Oggi e nel passato

, di Anna Maria Monti - professore associato di storia del diritto medievale e moderno
Le lingue europee hanno perso traccia del latino 'ius', preferendogli il termine che indica la 'giusta via'

Ogni studente che si accinga a studiare diritto incontra subito un problema: vocaboli che gli sembrava di conoscere sono utilizzati in modo particolare nei testi giuridici. Da invenzione a pregiudizio, nulla è come nel mondo dei profani.

Si potrebbe parlare di una barriera linguistica, perché il diritto, come molte scienze, ha una sua propria lingua con la quale occorre familiarizzarsi. Ciò non vale soltanto per l'italiano giuridico, simili difficoltà si presentano nello studio e nell'uso di tutte le lingue giuridiche europee. I rapporti tra lingua e diritto appassionano da tempo: da Savigny, fino alle più recenti impostazioni di filosofi, linguisti, storici del diritto, le riflessioni su questo tema sono di grande attualità, soprattutto perché spesso condotte nel contesto del multilinguismo che caratterizza l'Unione europea. Dinanzi a tante lingue del diritto, il multilinguismo in campo giuridico è, anzi, proprio una delle grandi ricchezze dell'Europa. Un multilinguismo che, a ben vedere, è connotato profondo della stessa storia europea: quello odierno è il retaggio di un passato che, per secoli, vede il progressivo emergere delle lingue nazionali come lingue giuridiche, sullo sfondo di quella che, in tutti gli ordinamenti, fu la lingua del diritto per eccellenza, il latino. Ciò significa che, all'interno dei singoli ordinamenti, convivevano due lingue giuridiche, latino e volgare: le lingue volgari si usavano soprattutto nelle legislazioni e nel corso dei processi, per esempio per l'escussione dei testi. In alcune realtà, in maggioranza italiane, questo tipo di multilinguismo (o bilinguismo) giuridico interno a ciascuno stato si è protratto fino al Settecento. Non a caso, un grande giurista d'antico regime, Giovanni Battista de Luca, definiva un «costume d'oggi», tipico del mondo del diritto del suo tempo, quello di «havere due lingue, una naturale, e comune a tutti ... e l'altra appresa con arte, e studio, e cognita solamente a' letterati» (Il Dottor Volgare, Roma, 1673, Proemio). Tornando allo studente di oggi, può consolarsi pensando che anche all'Università di Bologna, nel XII secolo, gli scholares incontravano i medesimi problemi nello studio del diritto. Anzi, forse maggiori, poiché gli studenti parlavano lingue volgari mentre le lezioni si svolgevano in latino (lingua dotta, che non si apprendeva a casa, ma sui banchi di scuola). Quando poi lo studente si laureava e cercava di farsi una strada nel mondo della professione, il multilinguismo, l'alternanza tra latino e volgare, era costante e gli scambi reciproci tra le due lingue continui.Per concludere, se è vero che il linguaggio giuridico odierno deriva in larga misura dal latino medievale, ci si potrebbe chiedere perché mai la parola latina ius non si conservi nel lessico giuridico delle lingue neo-latine. Il termine ius, in italiano si traduce diritto, in francese droit, in castigliano derecho, in portoghese direito. E non c'è traccia di ius nell'inglese right, o nel tedesco recht. Cosa è accaduto? Nelle lingue nazionali, attraverso un percorso diverso per ciascuna di esse, si fa riferimento a un altro vocabolo latino, che esalta il contenuto precettivo di ius, la «retta via» da seguire, cioè rectum o directum, di origine orale e popolare.Chi abbia avuto occasione di leggere un testo giuridico italiano dell'Ottocento, ha riscontrato l'uso di gius, per diritto, o più di frequente di giure: entrambi i vocaboli discendono da ius, ma oggi nessuno li utilizza più, salvo in certe parole composte, come giusnaturalismo. In realtà, per quello che riguarda la lunga storia dell'italiano giuridico, nel medioevo ius si traduceva in volgare con ragione, poi, tra XVI e XVII secolo, ius è volgarizzato in giure, gius. È in pieno Settecento che ricompare, nel significato del latino ius, la parola diritto, sopravvissuta nel senso, tra l'altro, di «tributo». Quella delle parole del diritto è una storia affascinante: come ha rilevato Piero Fiorelli, la lingua giuridica non si esaurisce in una terminologia speciale, come altre lingue tecniche, ma in una speciale terminologia ha il suo aspetto più appariscente.