Torbide acque della responsabilita' internazionale
Mentre gli Stati Uniti cercano di arrestare la marea nera del Golfo del Messico, si riaccende il dibattito sui meccanismi di responsabilità civile e risarcimento del danno e sulle regole di prevenzione in merito ai danni causati dalle perdite di petrolio.
In seguito agli incidenti che in passato hanno causato la dispersione di idrocarburi in mare, in ambito internazionale sono stati elaborati una serie di strumenti convenzionali che stabiliscono uno specifico regime di responsabilità civile e risarcimento del danno. Tali strumenti riguardano però l'inquinamento causato dalle imbarcazioni e non, specificamente, le dispersioni di petrolio originate da piattaforme petrolifere. Inoltre, dopo l'affondamento della petroliera Exxon Valdez nell'89, gli Usa hanno deciso di non ratificarli e hanno adottato una normativa interna, l'Oil pollution act (Opa). Questa prevede misure per prevenire, fronteggiare e risarcire i danni causati da perdite di petrolio nelle acque sottoposte alla giurisdizione statunitense, tra cui un fondo, amministrato dal Us coast guard's national pollution fund center e finanziato con i contributi dell'industria petrolifera. Sebbene l'Opa in parte ricalchi quanto previsto dalle convenzioni internazionali in materia, se ne discosta sotto diversi profili. Infatti, mentre queste stabiliscono dei regimi sostanzialmente di responsabilità oggettiva, la normativa statunitense subordina il diritto del ricorrente a ottenere il risarcimento danni alla dimostrazione della negligenza colpevole del proprietario e/o gestore della struttura da cui si è generata la perdita. Inoltre, poiché l'Opa non esclude che gli stati possano stabilire requisiti ulteriori di responsabilità rispetto all'inquinamento petrolifero e alle attività di rimozione, si possono determinare sovrapposizioni di norme federali e statali e di competenze giurisdizionali che renderebbero più difficoltoso il risarcimento. Peraltro ci si può chiedere se, oltre alla responsabilità civile dei gestori della piattaforma, non si configuri una responsabilità internazionale degli Usa per i danni che potrebbero essere causati ai paesi del Golfo. Come la recente rimozione del direttore del Mineral management service (Mms, l'agenzia del ministero dell'interno che gestisce la concessione di licenze di trivellazione offshore) sembrerebbe indicare, il comportamento del governo statunitense non è esente da critiche. L'Mms avrebbe concesso alla Bp e ad altre società permessi per le trivellazioni senza l'autorizzazione della National oceanic and atmospheric administration, richiesta dalla legge federale, e avrebbe esentato la Bp dall'obbligo di presentare uno studio dettagliato sull'impatto ambientale del progetto. Inoltre, la Mms avrebbe modificato la normativa applicabile per esentare alcuni progetti di trivellazione nel Golfo, compreso quello della Bp, dall'obbligo di presentare un piano in caso di esplosione e avrebbe stabilito che la strumentazione di controllo a distanza da usare in caso di emergenza, adottata in ambito internazionale, non era necessaria. Il comportamento della Mms e del governo Usa, di cui essa è espressione, potrebbe essere considerato in contrasto con alcuni principi di diritto internazionale. Secondo questi, qualunque stato deve assicurare che le attività svolte all'interno della sua giurisdizione e sotto il suo controllo non causino danni all'ambiente di altri stati o di spazi sottratti alla giurisdizione degli stati. Allo stesso modo, si potrebbe sostenere che gli Usa abbiano violato il principio per cui gli stati interessati all'effettuazione di attività potenzialmente lesive dell'ambiente devono svolgere una preventiva valutazione d'impatto ambientale. In una recente sentenza, la Corte internazionale di giustizia ha ritenuto che l'obbligo di procedere a una valutazione di impatto ambientale abbia carattere consuetudinario e, pertanto, sia vincolante per tutti gli stati a prescindere dalla ratifica delle convenzioni internazionali in cui è statuito.