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Schubert l'incompreso

, di Giovanni Iudica - ordinario di diritto civile e direttore della Scuola di giurisprudenza della Bocconi
Durante la sua vita il suo destino fu quello di essere sempre secondo a qualcuno

È assai probabile che Franz Schubert nacque sotto una cattiva stella. Non doveva essere stato facile per quel giovane viennese scrivere sinfonie, quando nei teatri il pubblico acclamava quelle di Beethoven! Quando i programmi contemplavano capolavori di Haydn o di Mozart, che spazio poteva esserci per la musica di questo impacciato giovanotto? Qualche suo brano era considerato piacevole ed era anche gradito all'animo sensibile di qualche inesperta contessina. L'Ave Maria, per esempio, era toccante e altra sua musica, come La morte e la fanciulla, era considerata persino commovente. Il destino di Schubert era però quello di essere sempre secondo a qualcuno. Per anni e anni le sue sinfonie non furono eseguite. Erano state dimenticate. Smarrite. Come drammaturgo era semplicemente ignorato. E tale rimase per decenni se non per un secolo. Il monopolio dell'opera italiana era saldamente in pugno a Gioacchino Rossini. Il principe von Metternich adorava Rossini. Gli intellettuali si dividevano in due fazioni. Gli amanti del Bel Canto, - tra i quali il più fanatico era Hegel - parteggiavano per Rossini. I filotedeschi invece facevano il tifo per Carl Maria von Weber e dopo di lui passavano alla Genovefa di Schumann e poi, senza indugi, direttamente all'immensità di Wagner, ignorando del tutto l'apporto operistico di Schubert.

Bisogna anche dire, a onor del vero, che il ragazzo non ci sapeva fare. Aveva buone maniere come insegnante di pianoforte e sia le madri che le figlie apprezzavano i suoi modi gentili, ma era del tutto ignaro dei meccanismi del teatro d'opera e assolutamente incapace di affrontare le dure leggi degli impresari, i capricci delle prime donne, le pretese dei cantanti. Non aveva la tempra, non aveva la stoffa. E per di più non sapeva muoversi, nel senso che non sapeva tener la bocca chiusa, quando avrebbe fatto meglio a tacere. Mettendosi in controtendenza rispetto al pubblico osannante, osò perfino criticare pubblicamente, se non irridere, l'Eurianthe di Weber. Schubert aveva perfettamente ragione, ma si trattava di un atto poco furbo, di un atto maldestro, di un gesto di lesa maestà. L'onnipotente Weber se la legò al dito e Schubert ci rimise le penne. Alfonso und Estrella e, più ancora, Fierrabras, che Schubert scrisse nel 1821/1822, sono oggi considerati due capolavori, due tappe fondamentali nello sviluppo dell'opera tedesca. Eppure Fierrabras attese sino al 1854 per vedere la luce! La prima assoluta fu rappresentata al Teatro di Weimar, grazie all'intuizione di Franz Liszt, che era il Grand Patron della Musica dell'Avvenire, quando in cartellone già figurava il Lohengrin di Wagner.

La sua musica non fu capita dai suoi contemporanei. E sino a non molti anni fa, la popolarità di Schubert era rimasta quella dell'Ave Maria o dell'Incompiuta. Solo di recente sono stati eseguiti scavi importanti nella sua musica e ne è uscito un compositore ben diverso da quello dolciastro tramandato dalla oleografia ottocentesca. Ne è uscito un autore geniale, da collocare nell'Olimpo dei grandi, con la statura e la qualità di un autentico Wanderer: un viaggiatore, e non un superficiale turista, di questa esistenza terrena, un osservatore penetrante di questa avventura umana, un essere carico di dolore, di profondità abissali, di strazio, e anche di incomprensioni. Gustav Malher, prendendo atto del disprezzo con cui i suoi contemporanei accoglievano la sua musica, disse, con profetica intuizione: «Il mio tempo verrà». Anche Schubert avrebbe potuto dire qualcosa di simile. Ma non ne ebbe il tempo. Morì troppo giovane, morì a trentuno anni.