Riformiamo la moneta ripensando a Keynes
Le economie avanzate sono soffocate da una mancanza di credito che frustra ogni velleità di ripresa. Le banche centrali hanno creato quantità immani di moneta, invano. Il denaro messo generosamente a disposizione delle banche non viene prestato né speso. Poiché è riserva di valore. E, in momenti di radicale incertezza, non vi è forma più sicura per detenere la ricchezza.
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Luca Fantacci |
L'insolvenza dei debitori sembra dar ragione alla prudenza di chi accumula scorte liquide e non le presta, se non a tassi d'interesse proibitivi. Proprio quella prudenza, però, restringe il credito, deprime gli investimenti e i consumi, impedisce alle imprese di vendere, e finisce per rendere più difficile per loro ripagare i debiti. È un circolo vizioso, dal quale le ricette economiche consuete non sembrano in grado di liberarci. Le politiche di rigore non fanno che deprimere ulteriormente la domanda. D'altro canto, per fare politiche espansive ci vorrebbero soldi. Se il nuovo denaro creato dalle banche centrali non circola, però, le entrate non aumentano e i costi di finanziamento non diminuiscono, nemmeno per i governi. È illusorio pensare che, in una simile situazione, sia sufficiente dare più spazio al mercato per far crescere l'economia, nell'idea che una maggiore concorrenza, conseguita attraverso riforme strutturali, possa contribuire a ridurre gli sprechi e aumentare la produttività. È dubbio che simili politiche possano produrre risultati economici apprezzabili, a fronte di indubbi e ingenti costi sociali, quando la competizione si esercita non tanto nel produrre meglio e vendere di più, ma nell'accumulare attività sempre più liquide. E oggi, come nel 1932, la concorrenza si è trasformata in quella che Keynes chiamava allora "una lotta concorrenziale per la liquidità". Non si tratta di stigmatizzare chi, in momenti di incertezza, cerca rifugio nella liquidità: è una scelta comprensibile e, talvolta, come nel caso delle banche, perfino imposta dai regolatori. Ma la legittimità di un comportamento non deve impedire di vederne le implicazioni disastrose. E quando una condotta conforme alla legge produce risultati anti-economici e anti-sociali, è giunto il momento di cambiare la legge.Occorre, dunque, una riforma del sistema monetario che tolga alla moneta il carattere di riserva di valore. Un carattere illusorio, del resto, che rischia di essere vanificato dall'inflazione (oggi peraltro non il rischio macroeconomico più remoto).Una moderata inflazione sarebbe auspicabile per ridurre il peso dei debiti e indurre chi detiene moneta a spenderla e a prestarla. Ma l'inflazione è pericolosa: è imprevedibile, rischia sempre di sfuggire di mano e altera in maniera arbitraria e destabilizzante la distribuzione del reddito e della ricchezza.
Una riforma monetaria dovrebbe consentire di definire deliberatamente e preventivamente quella svalutazione della moneta che l'inflazione provoca in maniera disordinata, casuale e verificabile soltanto a posteriori. Era il cruccio di Keynes fin dal 1923. Fu la sua proposta per Bretton Woods. Era il tratto distintivo di tutti i sistemi monetari fino all'istituzione del gold standard. Oggi sembra riecheggiare nelle proposte di fissare per le banche centrali un target minimo d'inflazione. In Europa, potrebbe prendere la forma di una tassa sui depositi delle banche presso la Bce o sui saldi attivi dei paesi creditori in Target 2. E, in generale, di qualunque incentivo che induca i creditori a spendere, affinché i debitori possano pagare.