Quello che rimane dei tre pilastri di Brunetta
Snellire e modernizzare la pubblica amministrazione sono da decenni priorità assolute nelle agende dei governi. Negli ultimi trent'anni, la quasi totalità dei paesi industrializzati ha intrapreso riforme radicali del pubblico impiego. Obiettivi comuni: ridurre gli sprechi e rispondere in modo più efficace ai bisogni di cittadini e imprese.
In linea con le tendenze in atto a livello internazionale, all'inizio del suo mandato il ministro Brunetta si è fatto promotore di una riforma del pubblico impiego fondata su tre pilastri. Il primo è la valutazione annuale di ciascun impiegato e di ogni ente pubblico, da svolgersi sotto il monitoraggio di organismi indipendenti. Il secondo pilastro della riforma Brunetta è la selettività nella distribuzione dei premi. Vanno in questa direzione le disposizioni del decreto legislativo 150/09 che obbligano le amministrazioni a classificare annualmente i propri dipendenti in tre fasce di merito e a riservare la maggior parte degli incentivi monetari alla prima fascia, lasciando a secco la terza. La trasparenza totale su attività e risultati di ciascun ente pubblico è il terzo pilastro. Sono passati due anni dal varo della riforma Brunetta. Nel frattempo, un terremoto finanziario con pochi precedenti ha rivoluzionato le priorità dei governi. Nel bel mezzo della tempesta, è utile chiedersi se promuovere il merito sia compatibile con la gestione dell'emergenza dei conti pubblici. Le misure di stabilizzazione finanziaria adottate dal governo a partire dalla primavera del 2010 hanno in parte congelato la riforma Brunetta. Il decreto legge 78/2010, ad esempio, ha neutralizzato per tre anni gli aumenti di stipendio previsti per i più bravi. Se questo intervento ha eliminato la carota, un'intesa governo-sindacati del febbraio 2011 ha tolto di mezzo anche il bastone, garantendo anche ai meno meritevoli il mantenimento dello stipendio percepito nel 2010. Cosa resta allora della lotta per la meritocrazia iniziata dal ministro Brunetta all'inizio del suo mandato? Senza dubbio, un'opportunità preziosa per le amministrazioni illuminate. Una recente ricerca dell'Osservatorio sul cambiamento delle amministrazioni pubbliche (Ocap) della SDA Bocconi ha identificato tre linee-guida per premiare il merito ai tempi della crisi. In primo luogo, la contrazione del turn-over nel pubblico impiego impone la massima selettività nelle pochissime assunzioni che saranno possibili nei prossimi anni. Per perseguire questo obiettivo, SDA Bocconi e Formez hanno recentemente definito un modello di concorso pubblico che risponde a tre requisiti fondamentali: imparzialità, tempi e costi contenuti e capacità di selezionare davvero i migliori. È su quest'ultimo punto, in particolare, che le amministrazioni più evolute stanno investendo maggiormente. L'Unione europea, ad esempio, nel 2010 ha abbandonato il precedente (e obsoleto) modello concorsuale per un nuovo sistema che, attraverso prove attitudinali e simulazioni, testa otto competenze manageriali ritenute cruciali per selezionare gli eurocrati del futuro. La seconda indicazione che emerge dalla ricerca Ocap è di puntare soprattutto sugli incentivi non monetari (percorsi di carriera accelerati, accesso a programmi formativi prestigiosi, etc.) per motivare i talenti. Molti studi dimostrano, infatti, che premi in denaro compatibili con gli attuali vincoli di finanza pubblica rischiano di produrre più danni che benefici. La terza e più rilevante area di intervento riguarda la trasparenza sulle attività e i risultati della pubblica amministrazione. L'analisi delle esperienze internazionali di successo dimostra che trasformare gli enti in "case di vetro" è l'unico modo per garantire un cambiamento reale e duraturo nel segno della meritocrazia.