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Quell’inversione che lancia Piera dal Piemonte contadino alla City

, di Diana Cavalcoli
Oggi Head of Global and International Research Enhanced Index equities team a Londra, Grassi ricorda quell cambio improvviso sulla via per l’immatricolazione al Politecnico e la scelta dell’economia che le ha permesso di inseguire i propri sogni. E, ripensando al suo percorso, ricorda: “È il frutto di competenza, duro lavoro e anche un po’ di fortuna nell’incontrare le persone che mi hanno sostenuto e fatto crescere”

"La mia storia? È quella di un’infanzia trascorsa in un piccolo paesino piemontese dove si raccolgono ancora le nocciole e si produce il vino. Un mondo contadino che mi ha portata a sognare in grande. Così sono volata da Calamandrana all'università a Milano e poi a Londra”. Nella City dell’alta finanza Piera Elisa Grassi è Head of Global and International Research Enhanced Index equities team e ha guidato l’innovazione nel mondo degli active ETFs.

Dei suoi inizi dice: “Non ho paura nel definirli umili. I miei genitori erano contadini, lavoravano moltissimo e non hanno mai avuto la possibilità di studiare. Degli anni della scuola ricordo le soddisfazioni soprattutto in matematica, i viaggi per arrivare in classe ma anche le difficoltà. Se si era "paesani", si veniva sottovalutati, alle medie avevano addirittura diviso i bambini della città e i bambini dei paesi”.  La Calamandrana dei campi e delle poche prospettive inizia così a starle stretta e Grassi trova nello studio un modo per reagire, complice il sostegno di alcuni amici di famiglia. “Erano persone colte, passavo con loro le estati in Liguria e quando si è trattato di decidere se andare all’università mi hanno incoraggiata. I miei genitori inizialmente non capivano perché volessi andare fino a Milano, quando potevo fare la segretaria per qualche azienda in paese”. 

Grassi inizialmente pensa a Ingegneria o Economia. Racconta: “Avevo passato entrambi i test e avevo convinto mio padre, che oggi non c’è più, ad accompagnarmi in macchina a Milano. La scena è stata da film: stavamo andando al Politecnico per l’immatricolazione ma ho avuto un’intuizione e gli ho chiesto di fare inversione per la Bocconi”. Il resto è storia. Grazie alla borsa di studio Grassi prosegue gli studi e nel mentre lavora part time a Calamandrana in Comune per un breve periodo. “Pesavo l'uva per i bollini del DOP. I viticoltori arrivavano con il rimorchio la sera e io dovevo occuparmi di riportare i dati correttamente. Lavoravo sia di mattina che di sera e cercavo di sbrigarmi per poi correre a Milano". In un'ora e un quarto di macchina.

Gli anni dell’università si confermano un volano per la crescita. “Ero circondata da persone con un’ambizione sana, un gruppo che ti spronava a fare del tuo meglio. Studiavamo tutti come dei matti e ricordo il mio inglese pessimo degli inizi”. In un primo momento Grassi pensa al dottorato ma poi decide di lavorare da subito anche per “non essere un peso per la famiglia". Manda così i cv in realtà come JpMorgan e Goldman Sachs ma la chiamata non arriva complice l’inglese da perfezionare. La chiama invece la società americana Barra specializzata in modelli di rischio. “Mi piaceva il fatto che la società all'epoca non era una società quotata ma era cresciuta in seno all'Università di Berkeley. Era ricerca applicata e di fatto ha poi portato una rivoluzione del risk management, nel gestire risparmi. Il responsabile del team era poi canadese di origini italiane e questo mi ha aiutato soprattutto all’inizio". Utilizzare i modelli Barra apre poi le porte dell’inglese Foreign & Colonial prima e JpMorgan poi. 

Riavvolgendo il nastro della sua carriera Grassi spiega che il suo percorso è il risultato di tanti fattori: competenza, hard working e poi anche un po’ di fortuna soprattutto “nell’incontrare persone che ti sostengono e ti fanno crescere”.  Così è stato in JpMorgan dove dal 2004 ha costruito 20 anni di carriera iniziando come analista e poi entrando nella gestione di portafogli nel 2007 fino ad essere a capo di un team di cinque persone - ci tiene a specificare, tutte molto diverse per nazionalità e genere. Colleghi con cui adotta una leadership dall’ approccio orizzontale. “Alla fine - sottolinea - prendo la decisione io, ma voglio che tutti si sentano parte di quella decisione. Devono essere coinvolti”. 

La squadra fa poi la differenza nel vivere positivamente il proprio mestiere. “Una delle cose che dico sempre e per cui non ho mai pensato di smettere di lavorare dopo la maternità, pur con tutte le difficoltà nella gestione dei figli, è la qualità delle persone che ho intorno. Avere colleghi stimolanti, preparati e in gamba fa la differenza tutti i giorni”, aggiunge. Non a caso alle più giovani e ai più giovani consiglia di scegliere aziende o realtà che vantano persone da cui imparare, di seguire le ambizioni e credere in sé stessi oltre che lavorare sulla resilienza, senza scoraggiarsi davanti alle difficoltà e sulla presentabilità: "Migliorare come comunichi e come ti approcci. Si dice sempre, no? I primi tre minuti fanno la differenza”.