Contatti

Quegli errori che trasformarono la depressione in tragedia

, di Andrea Celauro
Il confronto con la crisi del ’29 è stato il tema della terza conversazione di Economia e società aperta. Per non ripetere oggi gli stessi sbagli

La crisi non si combatte col protezionismo: guai, quindi, a ripetere oggi quegli errori di politica economica che trasformarono la recessione del '29 nella più terribile crisi dell'ultimo secolo. Ma per quanto si possa imparare dal passato, pensare che le crisi si possano prevenire o eliminare non è che un'illusione. Quella di oggi non è stata la prima, il Fondo monetario ne ha contate 42 dal 1970 al 2007, e non sarà l'ultima, hanno avvertito ieri Alberto Alesina, professore di economia ad Harvard e in Bocconi, e Gianni Toniolo, professore di storia economica alla Duke University e alla Luiss di Roma, durante la terza conversazione di Economia e società aperta. L'incontro, introdotto da Severino Salvemini, ordinario di organizzazione aziendale in Bocconi, è stato condotto da Salvatore Carrubba, de Il Sole 24 Ore.

Il parallelismo tra quella dei primi anni Trenta e quella di oggi è stato tirato in ballo più volte non appena la crisi è scoppiata. "Quella di allora è tuttora considerata un benchmark", spiega Toniolo, "tanto per dimensione, quanto perché rappresentò lo spartiacque del Ventesimo secolo, concludendo quel periodo di enorme sviluppo che fu la prima globalizzazione. Fu il risultato di un colossale fallimento dello stato, del mercato e della cooperazione internazionale". Non appena la crisi scoppiò, gli Stati Uniti diedero il via ad una politica economica costellata di errori: la Fed alzò i tassi di interesse e il governo aumentò le imposte ("cosa da non fare mai in situazione di forte recessione, concordano Alesina e Toniolo"), trasferendo la crisi anche alla fragile economia europea. La Germania rispose anch'essa alzando i tassi di interesse per trattenere i capitali in patria, visto che per pagare le riparazione di guerra si era indebitata sul mercato americano, favorendo così quelle tensioni interne che portarono al potere Adolf Hitler. Ovunque ci si orientò verso politiche protezionistiche che provocarono una caduta del 50% del commercio internazionale e un ulteriore crollo del reddito. La disoccupazione schizzò al 20% negli Usa e quella "che era una depressione seria ma non tragica, si trasformò in una tragedia", aggiunge Toniolo."La crisi del '29 sarebbe rientrata più rapidamente se non fosse stato per la politica", sottolinea Alesina. Errori commessi da Herbert Hoover, che non si oppose alla deriva protezionistica, e del primo mandato di Franklin Roosevelt, a causa del forte intervento dirigista, con le leggi che di fatto pianificarono l'economia. "Il suo secondo mandato fu invece migliore", continua il professore di Harvard, "poiché aumentò il ruolo di assicuratore sociale dello stato, con pensioni pubbliche e sussidi alla disoccupazione. Il piano di opere pubbliche non ha invece favorito come si pensa la riduzione della disoccupazione". E tra l'altro, continua, "l'evidenza empirica del dopoguerra mostra che la spesa pubblica come motore per uscire dalla crisi è sopravvalutata". Dal confronto tra il primo anno della crisi del'29 e il primo di quella del 2008 emerge che allora non fu peggio: la produzione industriale diminuì più o meno allo stesso modo e, anzi, oggi si registra un crollo più ampio del commercio internazionale. Le buone notizie, secondo Toniolo, risiedono però nel fatto che oggi "la reazione di politica economica è stata più rapida, incisiva e forte. Da questo punto di vista, il contrasto col '30 non può essere maggiore". Inoltre, le condizioni di cooperazione internazionale sono più favorevoli. E poiché adesso la crisi è ancor più massicciamente finanziaria di quanto fu nel '29, la sfida è dar luogo a riforme che mettano i mercati finanziari al servizio dell'economia reale, "ma senza tarparne le ali dell'innovazione", commenta Toniolo. Alesina: "È vero che la finanza ha fallito, ma la retorica del 'sono tutti cattivi' va evitata". E sulle risposte di politica economica, aggiunge: "Sì, sono state migliori, ma non perfette. Non si è ceduto al protezionismo, ma ne esistono forme sottili, come nel mercato dell'auto". A chi chiede, infine, se questa crisi rischia di dare un colpo di grazia al liberismo in Italia, il professore di Harvard risponde tirando in ballo l'immobilismo del nostro paese in questo frangente: "L'Italia sta perdendo un'occasione storica. Si dice da anni che il paese ha bisogno di una riforma del welfare, la crisi è il momento migliore per farlo".