
Planet: perché dobbiamo ripensare il valore del Pianeta
Quando si parla di crisi climatica e ambiente, spesso emergono tre narrazioni contrastanti.
La prima, forse la più diffusa con le recenti trasformazioni politiche internazionali, è una visione più populista, secondo cui la tutela ambientale sarebbe un lusso di cui si preoccupano solo le élite, mentre i problemi economici immediati sarebbero la priorità per la maggior parte delle persone.
La seconda è quella condivisa da molti economisti, che spesso hanno trattato l’ambiente come un input alla produzione o un’esternalità da gestire, piuttosto che come una componente essenziale del sistema economico.
La terza, spesso sostenuta dagli ambientalisti, che vedono la natura come incommensurabile in termini economici, ritenendo che il suo valore vada al di là di qualsiasi misurazione monetaria e che qualsiasi tentativo di quantificazione rischi di banalizzarla.
Ripensare il valore del Pianeta significa superare queste visioni contrapposte e riconoscere che l’economia e l’ambiente non sono due mondi separati. Al contrario, sono profondamente intrecciati: le scelte economiche influenzano il clima e gli ecosistemi, e gli impatti ambientali hanno conseguenze dirette e misurabili sull’economia, sulla produttività e sul benessere delle persone, specialmente su quelle in condizioni di fragilità economica.
Non si tratta solo di essere consapevoli di queste interconnessioni, ma di incorporarle strutturalmente nel ragionamento economico. Significa usare gli strumenti economici per salvaguardare l’ambiente e disegnare una transizione ecologica che abbia al centro i cittadini.
L’economia ci aiuta a capire quanto costa non fare nulla
Il cambiamento climatico comporta costi economici ingenti, aggravati dall’aumento della frequenza e dell’intensità di eventi meteorologici estremi. Ondate di calore, incendi boschivi e inondazioni mettono sotto stress persone, ecosistemi e settori chiave come l’agricoltura. In Europa, le esondazioni fluviali causano perdite superiori a 5 miliardi di euro all'anno, mentre gli incendi boschivi costano circa 2 miliardi di euro l’anno.
Gli impatti saranno ancora più gravi nelle aree già caratterizzate da climi caldi, compromettendo la sicurezza alimentare, destabilizzando le catene del valore e influenzando i flussi migratori.
Inoltre, questi costi non sono distribuiti equamente: le famiglie a basso reddito e le regioni meridionali dell'Europa sono particolarmente vulnerabili, affrontando rincari nei beni essenziali come cibo ed energia. Questo effetto regressivo amplifica le disuguaglianze esistenti, rendendo urgenti interventi di adattamento.
L’economia ci aiuta ad agire
Uno degli strumenti più efficaci per ridurre le emissioni è il mercato delle emissioni, già in vigore in Europa. Questo sistema assegna un prezzo al carbonio, riconoscendo che ogni tonnellata di CO₂ emessa ha un costo reale per la società. Non si tratta di un mercato delle indulgenze, in cui si paga per poter inquinare, ma di un meccanismo che incentiva le aziende a ridurre le proprie emissioni, tenendo conto delle diverse tecnologie e modalità di produzione disponibili. L’esperienza su larga scala dell’Unione Europea ha influenzato altri paesi: la Cina, ad esempio, ha istituito il proprio mercato del carbonio e lo ha recentemente ampliato, includendo settori chiave come il cemento, l’acciaio e l’alluminio.
Un altro strumento cruciale è il Meccanismo di Adeguamento del Carbonio alle Frontiere (CBAM), che introduce una tariffa sulle importazioni per garantire condizioni di concorrenza eque tra le imprese europee, che operano in un contesto in cui il costo sociale delle emissioni è riconosciuto, e quelle che producono in paesi dove le politiche climatiche sono meno restrittive. A differenza delle tariffe protezionistiche che spesso vengono minacciate nei dibattiti geopolitici, il CBAM ha una funzione ambientale: impone un prezzo sul carbonio ai prodotti importati ad alta intensità di emissioni, come acciaio e cemento, affinché rispettino gli stessi standard ambientali dei beni europei. Questo strumento stimola pratiche produttive più sostenibili su scala globale.
Alla base di questi strumenti c’è un’idea semplice, ma spesso offuscata dalla confusione che circonda il dibattito sul clima: dare un prezzo a qualcosa di negativo, come le emissioni inquinanti, e utilizzare quei fondi per obiettivi socialmente utili. I ricavi generati dai mercati del carbonio e dal CBAM possono essere impiegati per sostenere le famiglie più vulnerabili, mitigando l’impatto dei costi energetici, e per investire nell’innovazione, rendendo l’Europa più competitiva nella transizione ecologica. Queste sono politiche pragmatiche, che trasformano il problema in una leva di sviluppo, e che dimostrano come l’economia possa essere uno strumento fondamentale per affrontare la sfida climatica.
Il resto è rumore.