Più vita vera e meno ansia: l’AI non ci batterà
Due volte al giorno in palestra, poi testa sui libri per sei-sette ore: Davide Serra in Bocconi è entrato da giocatore agonista di pallavolo. La serie A2 e la festa della promozione in A1, prima di scegliere il suo posto nel mondo spinto dalle lezioni di Mario Monti e dagli anni di studio all’estero. La laurea in Economia aziendale arriva nel 1995. “Sono stato il primo della mia famiglia ad avere l’opportunità di studiare all’università. Avevo un solo dovere: fare del mio meglio”, ricorda il fondatore e ceo di Algebris Investment, nominato dalla Bocconi Alumnus dell’anno nel 2024.
Che consiglio darebbe al giovane Davide?
Innanzitutto di vivere il più possibile nel mondo reale. Ero boy-scout e pallavolista, oggi sarei un ragazzo che fa attività fisica, studia, si impegna vivendo nel mondo reale. E compete con i suoi pari in modo sano. Molti studi dicono che i ragazzi passano troppo tempo a “gareggiare” nel mondo virtuale e questo genera ansia e disturbi mentali devastanti. Ma non sono i numeri dell’account Instagram a fare la differenza: la Bocconi è un grande trampolino di lancio ed è una delle poche, vere esperienze di studio meritocratiche che si possono fare perché è internazionale, che per l'Italia non è scontato, ed è competitiva in modo costruttivo.
Quelli dell'università sono stati gli anni in cui si è formata anche la sua idea di finanza. Cosa è cambiato in questi trent’anni?
Ammetto che nei primi tre anni in Bocconi non riuscivo a capire completamente cosa fosse la finanza. L'ho capita solo con lo studio approfondito e gli scambi internazionali. Il primo anno sono stato in Norvegia e ho conosciuto un professore che difendeva la banca centrale svedese da George Soros, che nel 1994, dopo aver attaccato la sterlina e la Bank of England, ci aveva provato con la corona svedese. Lì ho deciso di voler fare finanza perché ho capito che era una partita: c'era un soggetto che “attaccava” e uno che doveva difendere. Sino ad allora la materia era per me molto astratta. All’epoca la cosa bella era il legame con le persone: bisognava capire la tattica dell’avversario, come dei giocatori in campo. Oggi la partita è cambiata, a mio avviso in peggio, perché il 60-70% dei volumi globali è fatto da un algoritmo che sminuisce le strategie di allocazione del capitale, e rende investitori come me degli Jedi sopravvissuti, come in Guerre Stellari. Resistiamo qui con il nostro nome e siamo convinti che l’impero della tecnologia, che ha oggi lo strapotere, nel lungo termine perderà.
Lei ha avuto una lunga carriera tradizionale, poi nel 2006 ha fondato Algebris. La Bocconi ha favorito il suo spirito imprenditoriale?
Sono sincero: questo no. Ai miei tempi noi studenti sognavamo Morgan Stanley, Goldman e McKinsey: pagavano di più e, si diceva, ti facevano volare in business class. La decisione di fare l'imprenditore è venuta quando, dopo aver avuto successo professionale, ho sentito il desiderio di creare una mia cultura aziendale: quella americana, per quanto perfetta per meritocrazia e professionalità, mi è sempre sembrata un po’ arida. Volevo dimostrare che si può essere un gruppo di bravi ragazzi e vincere. Ora il mio risultato più grande è sapere che alcuni bocconiani sognano di venire a lavorare da Algebris.
In questi trent’anni la finanza è diventata sempre più centrale per le persone. In futuro aumenterà il suo impatto?
Sì perché la finanza è l'unica disciplina che collega le generazioni in modo molto concreto. Oggi noi siamo qui grazie, ad esempio, ai risparmi fatti da mamma, papà, nonni… allo stesso tempo possiamo prendere a prestito dal futuro del denaro di cui non abbiamo disponibilità ora, chiedendo un mutuo per costruirci la nostra idea di indipendenza. La finanza è il frutto del passato, si vive nel presente e collega al futuro. Me lo spiegò Mario Monti quando ero al primo anno con il concetto di tassazione intragenerazionale: il debito che ricade sulle generazioni future.
Alumnus dell'anno 2024 - Davide Serra
Che valore avrà l’intelligenza artificiale nell’industria finanziaria?
Da ragazzino ero uno dei più bravi a programmare in Excel e ho sempre utilizzato l'ultimo tool tecnologico disponibile. Ora chiedo ai miei di essere super “smanettoni”, ma ad oggi l’intelligenza artificiale non ha fatto nulla che non avessimo già provato prima. Il nostro mondo è complesso e usiamo il machine learning per leggere i dati, ma a essere determinante è ancora l’unione tra il miglior strumento tecnologico e il miglior cervello umano. Con questa visione sbilanciata sulla tecnologia creiamo ansia nelle nuove generazioni: la tecnologia è solo uno degli strumenti, bisogna avere calma e spirito critico, l'uomo deve continuare a evolvere. Per questo il sistema educativo deve essere all’avanguardia.
Bisogna lavorare sulla formazione.
Per me è cruciale. A me colpisce incontrare persone che a 25 anni non abbiano le basi di educazione finanziaria, una definizione di cosa siano i soldi, come funzioni una banca centrale o la differenza tra un Btp, un fondo o un’azione. Credo che l’educazione finanziaria, anche minima, sia fondamentale per una consapevolezza personale e maggiore comprensione della realtà che ci circonda, ed espone meno al rischio di essere manipolati da chi fa false promesse, soprattutto su temi importanti come quelli economici.
Lei porta avanti dei progetti di filantropia: perché è importante che gli imprenditori si mettano in gioco?
La mia cultura anglosassone e il mio cuore italiano mi hanno reso ben chiari tre pilastri: l’impegno in famiglia, sul lavoro e nella società, con il dovere di fare bene. Nella mia famiglia sono stato il primo ad aver avuto la chance di studiare e questo ha coltivato in me un grande il senso di responsabilità. Oggi secondo me è corretto restituire parte di quello che ho ottenuto. Lo faccio con due progetti: con Hakuna Matata Foundation aiutiamo ottomila bambini orfani in Tanzania, con progetti di istruzione e assistenza sanitaria; con Bocconi, in Italia, finanziamo borse di studio per gli studenti che hanno le capacità di emergere ma magari non le possibilità economiche. Trent’anni fa la mia borsa di studio è stata la nonna: mi piace sapere di poter dare questa opportunità a qualcun altro.