Pietra e cristallo per una Bocconi che incontra la città
Il nuovo edificio dell'Università Bocconi all'angolo tra viale Bligny e via Roentgen, progettato da Yvonne Farrell e Shelley McNamara dello studio irlandese Grafton Architects, marca la continuità tra la città di Milano e il suo ateneo e, in quanto metafora della metropoli e degli scambi che la animano, è dichiaratamente influenzato dal Broletto, luogo pubblico in cui convivono cortili e volumi sopraelevati.
La capacità di cogliere e restituire in modo innovativo lo spirito della città si è dimostrata decisiva nel convincere la giuria internazionale del World Architecture Festival di Barcellona ad assegnare alla nuova Bocconi il World Building of the Year Award, in un concorso al quale hanno partecipato 722 opere di tutto il mondo completate negli ultimi 18 mesi.
Spazio che non si propone solo di ospitare i sette dipartimenti e i 24 centri di ricerca dell'Ateneo, ma anche di stimolare il lavoro intellettuale e creativo: "il palazzo", sostiene Severino Salvemini, ordinario di organizzazione alla Bocconi, "è un'operazione architettonica sofisticata, ancora da personalizzare come un abito sartoriale, ma già chiaro nella sua struttura coraggiosa e azzardata. L'azzardo doveroso di una istituzione che deve dimostrare di saper rompere gli schemi, osare ed essere pioniera anche nel campo degli spazi lavorativi".
L'ingresso si affaccia sul vivace e trafficato viale Bligny con una sorta di piazza, che porta all'ampia vetrata trasparente a precipizio sul grande foyer posto in parte al primo e in parte al secondo livello sotto terra. Anche se il perfetto isolamento acustico assicura che nessuna delle attività interne possa disturbare il quartiere circostante, dal foyer si vede fluire la vita della città e dalla strada è visibile quella del foyer. Proprio questo elemento, simbolico dell'apertura dell'Università verso la città, è quello che ha fatto decidere all'unanimità per il progetto Grafton la giuria del concorso internazionale indetto nel 2001 e conferisce all'edificio il lignaggio di simbolo di pietra e cristallo per la città.
L'edificio, su una superficie di 68.628 metri quadrati, conta sei piani sopra terra e tre piani sotto terra ed è suddiviso in uno spazio pubblico, comprendente l'Aula Magna da 1.000 posti, uno spettacolare foyer da 2.500 metri quadrati su due livelli e cinque sale congressi; e uno spazio privato che comprende postazioni di lavoro per 1.240 persone suddivise in 731 uffici e 53 tra sale riunioni, sale break e sale server. Il parcheggio sotterraneo può ospitare 200 auto.
Il nuovo edificio consente all'Università di ricompattare un campus cittadino arrivato, in passato, a contare ben 27 sedi e costituisce l'ingresso, finalmente affacciato verso il centro cittadino, di un'area che comprende edifici attigui di pregio architettonico, a partire dalla sede centrale di via Sarfatti 25, progettata da Giuseppe Pagano e realizzata nel 1941, il pensionato (1953) e la biblioteca (1966) di Giovanni Muzio, la chiesa S. Ferdinando (1962) di Ferdinando Reggiori, la Sda Bocconi (1986) di Vittore Ceretti e l'edificio ellittico ad aule (2000) di Ignazio Gardella. I lavori per il nuovo edificio di via Roentgen, iniziati nel 2002, si sono conclusi nel 2008 e sono costati 100 milioni di euro, compresi gli allestimenti interni.
Nell'imponenza materica della facciata su via Roentgen, dietro la quale si aprono ampi e stupefacenti spazi, il nuovo edificio si rifà al carattere di molti palazzi milanesi, "duri all'esterno, amichevoli all'interno", dichiarano McNamara e Farrell. "È per questo che abbiamo creato un contorno simile a una crosta, a uno scudo, costruito in ceppo di Gré, una pietra locale presente nelle facciate di molti palazzi milanesi. Lo abbiamo poi lavorato per dare il senso di profondità, densità e massa". Il marciapiede di via Roentgen, lungo 90 metri, costituisce, con le parole degli architetti, "uno spazio pubblico che prosegue nell'edificio, portando con sé la superficie di pietra, la pavimentazione della città".
Dal punto di vista architettonico, il progetto ruota intorno a due idee di base: volumi flottanti e diffusione della luce naturale. "Abbiamo pensato gli uffici come spazi sospesi a formare una spettacolare volta, che filtra luce a tutti i livelli", dicono Farrell e McNamara. "Gli uffici formano un paesaggio sopraelevato e abitato".
A dispetto dell'imponente facciata, l'edificio è luminosissimo e stupisce per la mancanza di pilastri. Ambienti aperti, scale ed elementi in cemento armato sembrano sospesi nell'aria, grazie a un principio strutturale simile a quello dei ponti. Le solette dei piani sono appese, attraverso tiranti d'acciaio, a grosse travi e l'impatto visivo è ulteriormente alleggerito dalla presenza di vetrate e aperture che riescono a convogliare la luce naturale fino al sottosuolo. Corti interne, foyer, giardini pensili e terrazzamenti a diversi livelli sono invasi dalla luce, che raggiunge e rischiara quasi a giorno anche i piani interrati.
La continuità tra università e città, marcata orizzontalmente dal grande spazio d'ingresso di fronte all'Aula Magna, è percepibile anche verticalmente grazie ai volumi sospesi degli uffici che consentono agli spazi interni ed esterni di sovrapporsi. "Il punto di energia è dove il mondo celeste incontra quello sotterraneo", raccontano ancora gli architetti. "In termini spaziali il mondo sotterraneo è solido, denso e scavato. Per contrasto, con le loro grandi dimensioni, gli uffici flottano come ponti sospesi nello spazio. Abbiamo così voluto marcare una continuità tra il paesaggio cittadino e quello creato da questo spazio sotterraneo, ma aperto".