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Perché Sanremo è Sanremo?

, di Andrea Celauro
La convenzione tra comune e Rai esclude i discografici dall'organizzazione trasformando il festival solo in uno spettacolo tv. Per rilanciare la manifestazione, suggeriscono gli esperti, bisogna puntare sul brand, la rete e soprattutto rivederne la governance

Poche occasioni, durante l'anno, hanno la forza di riunire sotto lo stesso tetto frotte di parenti e amici. Il Natale, la Pasqua e... il Festival di Sanremo. Tanto che, volendo, se ne potrebbe fare una festività nazionale, col numero in rosso sul calendario e le vacanze per gli studenti. Come dire, "Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi e Sanremo con tutti e due". Sì, perché davanti al moderno focolare domestico, il televisore, è facile che in quei cinque giorni dal martedì al sabato si raccolgano gruppi d'ascolto ben nutriti: anche quando si parla di crisi degli ascolti, e ogni anno c'è sempre qualcuno che la tira in ballo, la corazzata Sanremo scende raramente sotto i dieci milioni di ascoltatori.

E' dunque una superpotenza mediatica, un circo dove ogni gesto, ogni parola, ogni sguardo è analizzato, criticato, caricato di significati. E la musica? E' questa la critica che qualcuno muove a Sanremo: che nel tourbillon dello spettacolo le canzoni tendano a passare in secondo piano. E se, presentando la kermesse, Pippo Baudo ha sottolineato che "bisogna tornare al Festival della canzone italiana, ad un festival non commerciale ma artistico", qualcuno al di fuori del mondo dello spettacolo storce ancora il naso.

"Sanremo è uno spettacolo televisivo o un festival della musica?" si chiede Dino Ruta, docente di organizzazione aziendale alla Bocconi. La sua è chiaramente una provocazione, "ma che scaturisce dal vedere che un evento nato per promuovere la canzone italiana in Italia e all'estero, col tempo si è trasformato in uno spettacolo televisivo guidato dalle logiche dell'audience e della pubblicità. Forse proprio studiando gli attuali meccanismi di governance si può capire il perché".

Il Festival di Sanremo è regolato da una convenzione che lega il Comune di Sanremo, che è depositario del "marchio" del Festival, e Rai 1, che lo manda in onda. In cambio della cessione dei diritti televisivi, il Comune riceve dalla Rai circa 8 milioni di euro l'anno. Una metà della cifra va a costituire un fondo per la costruzione del Palafestival o per l'acquisizione o la ristrutturazione di strutture turistiche e sportive, mentre l'altra metà è destinata al finanziamento del programma annuale delle manifestazioni (tra le quali anche quelle di contorno al Festival vero e proprio). Una convenzione rinnovata con cadenza quinquennale (l'attuale è valida fino al 2008) e che lascia mano libera alla prima rete nell'organizzazione dello spettacolo: "Questo meccanismo", commenta Ruta, "esclude gli attori principali della manifestazione, ovvero i cantanti e le case discografiche. Di fatto, tiene fuori la parte artistica. Inoltre, la gara garantisce l'audience, ma questa può funzionare per gli artisti in ombra che vogliono riavvicinarsi al pubblico, per quelli che non godono ancora di grande fama e vogliono consolidare la propria immagine e per i giovani. Gli artisti più famosi, invece, sono relativamente poco motivati a partecipare perché non gradiscono mettersi in gioco in pochi minuti. E poi, tutto questo serve alla musica o alla televisione?".

In un sistema del genere, basato sull'impatto dello spettacolo "e in cui conta moltissimo il presentatore", il malcontento delle case discografiche è dovuto, secondo Ruta, anche alla mancanza di una direzione stabile del Festival: "Ci vorrebbe un tavolo fisso attorno al quale far sedere tutti gli attori della manifestazione e in particolare le case discografiche". Non solo, "è importante una maggiore internazionalizzazione, magari inserendo gli artisti in un network di manifestazioni, e un potenziamento della fruizione della musica del Festival sul web". L'idea di Ruta non è peregrina: "Si potrebbe creare una banca dati delle canzoni degli ultimi 50 anni di Festival". Perché? "Perché Sanremo è un brand conosciuto all'estero, ma non abbastanza promosso. E' un brand fortissimo che merita di essere sviluppato. Ma chi lo possiede, il Comune, è lontano dall'industria musicale".

La rete, tra l'altro, si sta affermando come il mercato per eccellenza in campo musicale. I risultati dei music store virtuali, quali iTunes, non lasciano dubbi su quale sia il prossimo futuro della fruizione. Ne è convinto anche Andrea Ordanini, responsabile del laboratorio musica e discografia del Cleacc Bocconi: "Sanremo è un mezzo di promozione per i singoli e potrebbe funzionare molto bene sul web. Più in generale, l'idea che Sanremo possa svilupparsi ibridandosi con i media di oggi, è interessante". "Attualmente è ancora il regno del disco", continua Ordanini, "ma è pressoché certo che da qui a qualche anno le modalità di fruizione saranno diverse. Il digitale è una forma di consumo attivo e potrebbe essere la modalità giusta per rifocalizzare Sanremo anche sulla fascia dei giovanissimi".

Due i fronti sui quali lavorare, secondo Dino Ruta: puntare sulla storia di Sanremo, con una banca dati "che contenga anche i filmati originali delle varie edizioni", e aumentare il ritorno d'immagine e di promozione per gli artisti, "di modo tale da far rientrare il Festival nell'agenda dei cantanti. Per come è adesso, infatti, Sanremo porta a continue frizioni tra le major e la direzione del Festival". Per far questo, però, è necessario investire su una struttura operativa stabile e ben organizzata. "L'idea del tavolo tra Comune, Rai e case discografiche va proprio in questo senso. Una struttura che rappresenti tutti gli interessi, che sia indipendente dalla Rai e che si dedichi esclusivamente alla promozione del brand Sanremo. E potrebbe essere proprio il Comune a organizzarla, essendo titolare del marchio".

Insomma, un Festival che torni alla musica e "che rappresenti tutto l'anno un buon investimento per la città di Sanremo", conclude Ruta. Con qualche Tyson e qualche spettatore in meno, forse, ma che sia ancor più di adesso il portavoce della tradizione canora italiana. Perché se è vero che "Sanremo è Sanremo", è anche vero che quelle sul palco non sono "solo canzonette".