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Persone Nicole Silvya Bouris

Nicole, a Nairobi per portare l’elettricità nell’Africa rurale

, di Camillo Papini
Dopo tre anni a Washington alla World Bank, Bouris ha trovato in Kenya “la carriera che volevo” e oggi è Head of business development della software house Vida per lo sviluppo di tecnologie nel settore energetico. Sulla discriminazione di genere dice: “Ragazze, cercate il confronto diretto con chi ha questo atteggiamento”

Nicole Silvya Bouris ha lavorato molto all’estero, specializzandosi nel settore energetico ma spaziando da incarichi presso istituzioni come la Banca Mondiale, a Washington, fino a quello attuale in Kenya, a Nairobi, impegnata nel trovare la migliore tecnologia per elettrificare aree geografiche rurali o semi-rurali in tutto il continente (e non solo). “Ci tengo a precisare che in Africa non faccio la volontaria. Anzi, ho un buono stipendio. Lo dico subito perché quando si pensa a un impegno professionale in alcune nazioni ci s’immagina che non possa essere retribuito. Spesso i giovani studenti fanno fatica a immaginare carriere alternative soddisfacenti, che non siano quelle in settori consolidati e molto noti come la finanza o il lusso in Europa o negli Usa. Invece, la mia storia personale suggerisce che è possibile immaginare percorsi professionali alternativi. Forse, all’inizio della mia attuale esperienza in Kenya guadagnavo meno che a Washington. Ma qui ho fatto carriera, la carriera che volevo”, afferma Bouris, head of business development di Vida, Gis software house per lo sviluppo delle tecnologie nel settore energetico.

“Certo, mi sono spostata da un ambiente lavorativo come quello della Banca Mondiale, con codici di comportamento molto rigorosi, a uno privato di business che ha come clienti per esempio capi di governo o di stato che, spesso, provengono da contesti patriarcali. Essere bianca e donna non è quindi sempre facile ma mi ha aiutato a saper cogliere quel giusto equilibrio tra un approccio professionale e uno che vuole essere comunque gentile, amicale”, sottolinea la laureata all’Università Bocconi con un Bachelor’s in International economics, management and finance. “Ecco perché consiglio espressamente alle studentesse, che entrano nel mondo del lavoro e si ritrovano in situazioni di discriminazione di genere, di cercare nel modo migliore un confronto diretto con chi attua queste distinzioni tra uomini e donne. Non è giusto, per noi donne, giustificare a priori. A me è capito di subire questa forma di razzismo durante l’incarico presso una società, quando un manager m’interrompeva spesso e non mi lasciava spazio nelle riunioni. Ho deciso di parlarne direttamente con lui”, rilancia Bouris. “Alla fine si è scusato, ha detto che non se n’era nemmeno reso conto. Quindi, che si tratti di comportamenti volontari o anche no, è meglio far sentire la propria voce. Neppure i retaggi culturali possono essere una scusante. Poi è anche vero che più un ambiente di lavoro è internazionale maggiore è l’attenzione alla diversità e all’inclusione”.

Tuttavia, la carriera di Bouris (mamma salernitana, papà di Beirut ma di famiglia palestinese e scuole Nato a Napoli) non ha sempre seguito una linea retta. Ha iniziato a studiare diritto internazionale in Bocconi per poi passare a economia, pur perdendo un anno e pur dovendo dare 15 esami in 12 mesi per non perdere un altro anno. “Ho sentito un po’ di delusione nel sedermi in aula a fianco di studenti più giovani. Sono andata avanti lo stesso. In parallelo, ho contribuito all’avvio della partnership tra Bocconi e l’American University of Beirut, dove volevo svolgere il mio semestre all’estero durante la laurea triennale in inglese in economia. Ho partecipato alla nascita di TedxBocconiU e ho frequentato molto il mondo dell’associazionismo tra cui B.lab, storica sigla di rappresentanza degli studenti bocconiani. Oggi posso dire che ho trovato ogni mio lavoro senza inviare mai un’application form ma sempre grazie al networking”, ricorda l’alumna dell’ateneo milanese che adesso guida un team dedicato al business development e che crede molto nel mentoring. 

“La mia filosofia è che il mio responsabile in azienda sia anche uno dei miei mentor, perché deve credere nelle mie potenzialità”, spiega Bouris. “Viceversa, io stessa cerco di essere punto di riferimento e anche fonte di stimolo per i miei mentee. Non c’è nessuna donna nel mio team, così è capitato, ma non credo che farei distinzioni tra uomini e donne. Altrimenti, sarei io a fare discriminazione”.