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Nazioni Unite vs crimine organizzato

, di Leonardo Borlini, professore associato di diritto internazionale
L'impegno del Consiglio di sicurezza per contrastare le diverse forme di criminalita' e' cresciuto ma restano aperti alcuni problemi come la mancanza di linee guida organiche, il sottodimensionamento di staff e risorse, lo scarso utilizzo di operazioni di intelligence in coordinamento con gli stati

In che misura e con quali modalità il Consiglio di sicurezza dell'ONU si occupa di crimine organizzato? In un articolo in corso di pubblicazione per il Journal of International Criminal Justice indago uno degli sviluppi meno esaminati e più recenti che ha caratterizzato l'attività dell'organo esecutivo dell'ONU dalla fine della Guerra fredda: l'impegno nel contrasto a diverse forme di criminalità organizzata che determinano, contribuiscono a causare o aggravano, 'una minaccia alla pace internazionale e alla sicurezza' ai sensi del fondamentale art. 39 della Carta dell'ONU.

Sotto il profilo quantitativo, l'esame empirico delle risoluzioni adottate dal Consiglio di sicurezza nei venti anni intercorsi tra il 2000 e il 2020 dimostra che l'organo esecutivo dell'ONU si è occupato in misura crescente di crimini come il traffico di essere umani, il traffico di stupefacenti, il commercio illegale di armi, il commercio illegale di risorse naturali, il riciclaggio di denaro sporco, i c.d. 'wildlife crimes', la pirateria e il traffico di migranti. Di più: i risultati empirici dello studio sembrano suggerire una sottovalutazione del fenomeno da parte degli studiosi di diritto e relazioni internazionali. Risulta, infatti, che oltre il 40% (489 su 1219) delle risoluzioni adottate dal Consiglio di sicurezza nei primi 20 anni del XXI secolo, riguardano una delle forme di criminalità sopra menzionate, con picchi del 67% e 61% rispettivamente nel 2014 e 2017 e con una decisa concentrazione dei Paesi dell'Africa subsahariana per quanto riguarda le aree geografiche interessate dai provvedimenti.

Quanto alle modalità di intervento principali, lo studio dimostra che il Consiglio di sicurezza si è mosso lungo direttrici che non erano immaginabili al momento che fu concepito dai redattori della Carta di San Francisco, adottando un approccio e tecniche che ricordano quelle della giustizia penale dei singoli Stati, in particolare con riguardo ad indagini compiute attraverso i suoi organi sussidiari sulle attività criminali esistenti nelle aree di intervento e l'uso delle sanzioni che esso può decidere sulla base dell'Articolo 41 della Carta ONU. Rispetto a tale ultimo strumento, sostengo che, oltre a finalità 'punitive', l'utilizzo nei confronti del crimine organizzato si connota di elementi 'regolatori'. Esso è cioè prospettico, teso all'eliminazione o contenimento nel futuro delle potenziali cause di nuove crisi, anche attraverso il coinvolgimento di enti privati -soprattutto, imprese e associazioni di imprese operanti in determinati settori economici - per favorire attività di regolazione condivise tra settore pubblico e settore privato. Alcuni problemi rimangono aperti: per quanto riguarda le indagini (o fact-finding) intorno ad attività di crimine organizzato, permane la mancanza di linee guida organiche, il sottodimensionamento di staff e risorse dedicate, e lo scarso utilizzo da parte del Consiglio di operazioni di intelligence in coordinamento con (o in sostituzione delle) autorità degli stati interessati. Riguardo all'utilizzo dello strumento sanzionatorio ai fini di contrastare il crimine organizzato, il problema principale è la mancanza di adeguati meccanismi di tutela dei diritti umani degli individui sottoposti a regimi sanzionatori decisi dal Consiglio di sicurezza a ragione del coinvolgimento in attività criminali.

In conclusione, lo sviluppo dell'attività del Consiglio per contrastare il crimine organizzato è notevole e conferma la sua crescente attenzione verso le minacce alla sicurezza internazionale poste da attori non statali. Nondimeno, anche questi nuovi interventi sono necessariamente condizionati dall'accordo dei 5 membri permanenti (Cina, Francia, Regno Unito, Russia e Stati Uniti), ciò che in parte ne spiega la concentrazione in aree, almeno per il momento, non interessate da contese relative alle rispettive sfere di influenza.