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Lotta ai paradisi fiscali: tramonto del segreto bancario?

, di Sebastiano Garufi - dottorando di ricerca in diritto internazionale dell’economia alla Bocconi
Per arginare l'evasione fiscale scende in campo anche l'Ocse, che ha stilato una black list di paesi rifugio di capitali

La lista degli stati non cooperativi stilata dall'Ocse all'indomani del G20 rappresenta una vera e propria dichiarazione di guerra a quelle giurisdizioni in cui vigono regimi fiscali privilegiati e che non garantiscono lo scambio di informazioni. Il contrasto all'evasione fiscale strutturata mediante il ricorso a questi paesi ha attirato già da un trentennio l'attenzione della comunità internazionale, la quale sta ricorrendo allo strumento della pressione politica per indurre la "spontanea" eliminazione delle misure fiscali distorsive degli investimenti.

La recente crisi finanziaria ha reso il problema dei paradisi fiscali di impellente soluzione. Le misure dei Governi a sostegno delle imprese, l'assoluta necessità di reperire gettito per redimere le tensioni pubbliche e le istanze delle vittime della crisi hanno determinato una caccia disperata da parte dei Governi alle basi imponibili artificiosamente migrate all'estero e ivi nascoste.

Atteso che il reperimento di risorse pubbliche non può essere attuato mediante un aumento del carico fiscale (che in Europa ha già raggiunto una media del 40%, contro il 28% del Giappone), le organizzazioni internazionali, che vedono l'Ocse in prima linea, intendono rimediare mediante il ricorso alla cooperazione tra amministrazioni finanziarie e puntano alla trasparenza per evitare le fughe di basi imponibili.

La pubblicazione della lista nera di paradisi fiscali da parte dell' Ocse ha determinato un'immediata reazione degli stati incriminati, che si sono dichiarati pronti ad adeguarsi alle richieste della comunità internazionale. La black list ha un chiaro intento politico: indurre spontaneamente gli stati non cooperativi ad assicurare lo scambio di informazioni, modificando la propria legislazione interna in materia di segreto bancario (in questo senso, tra gli stati a noi vicini presi di mira vi sono: Austria, Belgio, Lussemburgo e Svizzera). Un'azione collettiva dovrebbe, così, riuscire laddove le misure unilaterali anti-paradisi degli stati a fiscalità ordinaria hanno fallito.

Lo scambio di informazioni e l'abolizione del segreto bancario rappresentano, dunque, i principali obiettivi cui punta la comunità internazionale. L'Italia si sta adeguando in tal senso, avendo previsto l'emanazione di alcune white lists in cui figureranno gli Stati cooperativi e che sostituiranno le attuali liste nere.

La nostra vicina Svizzera, inclusa nella lista Ocse dei paesi incriminati, si è prontamente dichiarata disponibile ad adeguarsi alle istanze internazionali. Proprio nelle scorse settimane sono stati, infatti, siglati sette accordi di revisione delle convenzioni contro le doppie imposizioni che dovrebbero consentire a Danimarca, Norvegia, Francia, Messico, Lussemburgo (questo non comunicato ufficialmente, ma effettivamente siglato), Stati Uniti e Giappone di accedere allo scambio di informazioni non solo nelle ipotesi di frode fiscale. I colloqui con l'Italia dovrebbero, invece, prendere il via questo mese. Se da un lato il forte contrasto con la Germania si sta attenuando, la Confederazione deve conciliare la futura maggiore collaborazione sull'evasione fiscale con la propria legislazione interna.

Se l'abrogazione del segreto bancario, chiaramente non voluta da banche e cittadini svizzeri, dovesse essere sottoposta a referendum popolare, esiste il rischio che le richieste della comunità internazionale degli stati non saranno assecondate. Così, le "misure di ritorsione" da parte di quest'ultima potrebbero arrivare senza indugio.