Liquidita' ieri, inflazione oggi
L'inflazione che svuota le tasche degli europei non è arrivata solo con la crisi energetica né con l'invasione russa in Ucraina. Sono stati i fiammiferi che l'hanno accesa, ma il combustibile era pronto da tempo: tanta liquidità in tutto il mondo, a tassi bassissimi. Per inquadrare l'origine del fenomeno bisogna spostare le lancette più in là nel passato, anche prima della pandemia da Covid-19. A offrire questa prospettiva è Franco Bruni, professore emerito del Dipartimento di Economia dell'Università Bocconi e vicepresidente Ispi, in libreria con "Oltre le colonne d'Ercole. Ripensare le regole della politica monetaria" pubblicato da Egea (272 pagine) da maggio 2023. "In Europa - spiega Bruni - c'è stata una forte insistenza della Bce nel mantenere i tassi negativi e il quantitative easing abbondante anche nel 2017-18, quando la crescita stava riprendendo e l'inflazione si avvicinava rapidamente all'obiettivo del 2%".
Il saggio di Bruni, racconta l'autore, mette in luce "la notevole lentezza con cui le politiche monetarie hanno affrontato l'aumento dei prezzi, sia negli Stati Uniti che in Europa: anche quando c'erano chiari segnali di accelerazione del costo della vita, le banche centrali rinviavano il rialzo dei tassi. L'inflazione ha cominciato a salire nel 2021, ma se negli Usa la Federal Reserve è intervenuta con mesi di ritardo, in Europa la Banca centrale europea lo ha fatto ancor più tardi". Uno dei contributi "originali" del libro, spiega, è nella lettura dei verbali delle riunioni della Bce: "Sono andato a vedere come erano riassunte le discussioni del direttorio, cercando di capire in che modo ogni volta si arrivasse a rinviare l'aumento dei tassi nonostante l'inflazione fosse già sostanzialmente al 2% e l'economia si stesse riprendendo. Nel 2018 è stato clamoroso: il cambiamento delle politiche monetarie è stato rinviato con ogni tipo di scusa, arrivando a dire che l'accelerazione dei prezzi era dovuta alle spese per le vacanze di Pasqua".
La critica al quantitative easing - Nel suo lavoro, che è in continuità con l'Acqua e la Spugna, pubblicato da Egea 13 anni fa, Bruni avanza anche una critica dettagliata al quantitative easing. "Certo, Mario Draghi conosce bene queste critiche", mette in chiaro il professore emerito della Bocconi che dell'ex premier italiano è stato compagno di studi. L'errore, spiega Bruni, "è stato considerare l'acquisto dei titoli di Stato una sorta di strumento di politica monetaria permanente", un meccanismo che ha reso la politica monetaria "meno indipendente dalla politica di bilancio e un modo con cui facilitare i governi che hanno emesso bond sapendo che qualcuno li avrebbe acquistati. Una banca centrale è fatta per intervenire quando serve, ma subito dopo deve saper smettere: per sua natura, la politica monetaria è una faccenda di breve periodo perché nel lungo periodo una banca centrale deve solo fare in modo che le aspettative sull'andamento dell'inflazione siano costanti e basse". Invece, soprattutto in Europa, "l'accumulo dei titoli pubblici nella Bce è diventato quasi strutturale, disorientando le funzioni della banca centrale, spostandola su obiettivi di crescita che vanno perseguiti altrimenti, da altre politiche e riducendo così la sua l'indipendenza nel reagire agli shock".
Bce e Fed dovrebbero legarsi le mani - Per evitare che in futuro ci si ritrovi in una situazione come l'attuale, Bruni suggerisce alle banche centrali di "legarsi le mani" con un pacchetto di regole e buone pratiche che impediscano di sbandare. "A differenza di quello che dicono tanti miei colleghi - spiega - non ce l'ho con quello che le banche centrali stanno facendo in modo acrobatico per fermare l'inflazione. Ma quando avranno vinto questa battaglia dovranno evitare che si possa pensare di deragliare ancora". Due i fronti: servono regole per ancorare le manovra sui tassi di interesse limitando bruschi e duraturi eccessi in un senso o nell'altro e vincoli flessibili per limitare la possibilità della banca centrale di accumulare crediti sull'economia e in particolare sul settore pubblico troppo a lungo. "La banca centrale - chiarisce Bruni - per sua natura deve concentrarsi nel regolare la liquidità del sistema, erogando e ritirando prestiti. Ciò comporta, ogni tanto, comprare titoli del Tesoro. Titoli che, nei bilanci delle banche centrali, devono essere cuscinetti temporanei, capaci di gonfiarsi e sgonfiarsi rapidamente".
Limiti che non possono essere messi dai governi, per non minacciare l'indipendenza delle banche centrali: "Sono loro stesse che hanno l'interesse a riconoscere questi vincoli e legarsi le mani per essere più credibili nei confronti del mercato quando dicono di guardare alla stabilità finanziaria e all'inflazione bassa". Una strada, evidenzia Bruni, può essere quella di iniziare a comunicare insieme, globalmente: "Dovrebbe esserci il principio di collaborazione e coordinamento fra tutte le banche centrali in un contesto globale visto che le politiche monetarie non rimangono all'interno della giurisdizione della Fed o della Bce ma spargono i loro effetti nel mondo. I mercati devono sapere che le banche centrali si coordinano; se iniziano a fare annunci insieme avranno poi più difficoltà a smentirsi perché non si sono compromessi". Insomma, conclude, anche se i governatori si consultano continuamente sulle più importanti decisioni da prendere, servirebbe cambiare il codice di comportamento dei prossimi anni e "almeno alcune decisioni strategiche potrebbero essere coordinate e venir rese pubbliche in un comunicato globale: questo renderebbe tutto più vincolante e credibile".