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Opinioni Changed by women

L'importanza dei role model

, di Paola Profeta
Al tasso attuale di progresso, nel mondo ci vorranno altri 131 anni per raggiungere la parita' di genere, 67 se si guarda all'Europa. Serve dunque un'accelerazione, lavorando su politiche che incentivino il lavoro femminile e abbattendo gli stereotipi di genere anche attraverso la promozione dei modelli femminili, scrive Paola Profeta, prorettrice per la Diversità, l'Inclusione e la Sostenibilità nella postfazione al volume Changed by Women'

Nessun paese al mondo ha raggiunto la parità di genere. Secondo l'ultimo Global Gender Gap Index del World Economic Forum (2023) i paesi più avanti (Islanda, Finlandia, Norvegia, Svezia) hanno chiuso poco più dell'80% del divario di genere, gli altri sono molto più lontani. L'indicatore misura ogni anno quattro dimensioni di disuguaglianza tra uomini e donne: le opportunità economiche, l'istruzione, la salute e sopravvivenza e l'empowerment politico. A oggi nel mondo si è chiuso il 96% del divario in salute, il 95,2% del divario in istruzione, il 60,1% del divario in partecipazione economica e opportunità e solo il 22,1% del divario in empowerment politico. L'Italia è al 79° posto su 146 paesi, 104° per la dimensione economica, tra gli ultimi paesi in Europa. Se guardiamo l'evoluzione nel tempo, i dati mostrano per tutti i paesi una tendenza al miglioramento, ma al tasso attuale di progresso ci vorranno ancora circa 131 anni per raggiungere la parità tra uomini e donne nel mondo (162 anni per la parità in campo politico e 169 per la sfera economica). Se restringiamo l'osservazione all'Europa, a oggi l'area del mondo con i migliori indicatori di parità, gli anni stimati per raggiungere la parità sono 67.

Tutti i paesi sono chiamati ad agire con programmi e politiche per accelerare il processo verso la parità di genere. In primo luogo perché la parità di genere è una questione di giustizia e di uguali diritti per uomini e donne: diritto all'istruzione, al lavoro, alla carriera, all'indipendenza economica e a un ruolo paritario nella società. Ma non si tratta solo di una questione di giustizia, la parità di genere è anche un motore trainante di crescita economica. Sviluppo e crescita economia vanno da sempre di pari passo con la parità di genere, gli uni aumentano l'altra in un circolo virtuoso. Secondo l'Istituto Europeo per la Parità di Genere (EIGE), entro il 2050 promuovere la parità di genere potrebbe aumentare il PIL pro-capite in Europa dal 6,1 al 9,6%. Si tratta di un guadagno tra 1,95 e 3,15 trilioni di euro. Nei paesi che hanno una situazione di partenza della parità di genere più arretrata, il potenziale impatto è maggiore. Per esempio, in Italia i guadagni di PIL potrebbero arrivare nel 2050 a circa il 12%. A conclusioni simili arrivano la World Bank, l'OECD, l'IMF, tutte istituzioni ormai dotate di un articolato programma di ricerca e di policy-making per la promozione della parità di genere come elemento centrale del percorso di crescita. La crescita legata alla parità di genere si caratterizza per essere sostenibile, ovvero a salvaguardia delle generazioni future, dal punto di vista economico, sociale e ambientale. L'obiettivo numero 5 dell'Agenda di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite è infatti "Achieve gender equality and empower all women and girls". Investire nella parità di genere significa dunque non solo raggiungere un livello più elevato di PIL, ma anche di benessere e di prosperità per le generazioni attuali e future, in un contesto di risorse sempre più scarse.

Quali sono i passaggi essenziali per raggiungere questo obiettivo?

Partiamo dall'istruzione. Le donne sono ormai istruite almeno tanto quanto gli uomini. In tutti i paesi europei, la percentuale di donne laureate è superiore a quella degli uomini.[1] Quando guardiamo però alle materie di studio, le donne sono sottorappresentate nelle discipline STEM (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica), che danno maggiori rendimenti sul mercato del lavoro e profili salariali più ripidi. L'attenzione verso le discipline STEM e verso la riduzione del divario di genere in queste discipline è oggi una priorità in tutti i paesi. Gli studi recenti (si veda Profeta, 2020 per una sintesi) sottolineano che questo non è solo il risultato di preferenze delle studentesse, è l'intero sistema che spinge le ragazze verso le materie umanistiche: insegnanti, famiglie, tipologie di test utilizzati, mancanza di role models. Anche restringendo l'attenzione al campo economico e sociale, le studentesse sono poco presenti nella finanza e molto di più nelle discipline aziendali. La proposta di role models specifici di questi settoripuò avere un ruolo importante nella riduzione delle differenze attuali.

Passando al mondo del lavoro, le differenze si accentuano. La maternità rappresenta ancora oggi un ostacolo rilevante per il lavoro femminile: la stima più recente della cosiddetta "child penalty" (Kleven et al., 2023) – l'effetto negativo sul mercato del lavoro che avere un bambino ha per le donne rispetto agli uomini, misurata come perdita di occupazione o di salario – raggiunge un valore pari al 29% per la media Europea (con valore minimo in Danimarca, pari al 14% e massimo nella Repubblica Ceca, pari al 49,7%). D'altra parte le donne sempre più spesso rinunciano ad avere figli, i tassi di fecondità sono ai minimi e tra fecondità desiderata e reale la forbice si allarga. Oggi nei paesi in cui le donne lavorano di più nascono anche più bambini: sono i paesi che hanno messo in atto un sistema di welfare e un contesto di politiche che permettono di combinare lavoro e famiglia e di condividere tra padri e madri i carichi di cura. Asili nido e congedi di paternità sono misure che vanno in questa direzione.

Alla base dei divari di genere nel mondo del lavoro c'è un elemento culturale persistente, norme sociali che prevedono ruoli diversi per uomini e donne e stereotipi di genere. I paesi con più occupazione femminile (e fecondità) sono quelli in cui gli individui e le imprese hanno meno stereotipi sul ruolo di uomini e donne nella società e nell'economia. Per esempio, più del 52% degli italiani è d'accordo con l'affermazione "un bambino in età pre-scolare soffre se la mamma lavora" e più del 25% con l'affermazione "quando i lavori sono scarsi gli uomini hanno più diritto delle donne" (World Value Survey). Le percentuali di accordo in Svezia – paese a elevato tasso di occupazione femminile e parità di genere – assumono valore 2,9% e 15% rispettivamente. A questa cultura esplicita si aggiungono i numerosi stereotipi impliciti.

Anche quando lavorano, le carriere delle donne sono segnate da molteplici ostacoli, che impediscono di raggiungere le posizioni di vertice (il cosiddetto "glass ceiling"). Secondo EIGE, in media in Europa le donne occupano il 34% delle posizioni di presidenti e membri di consigli di amministrazione delle più grandi società quotate, con valori superiori al 40% nei paesi in cui sono da anni in vigore le quote di genere (Italia e Francia). Sono ancora solo il 22% tra i CEO. Eppure sono noti i benefici di una leadership bilanciata per genere: la selezione è migliore (anche di uomini), la performance può aumentare, l'agenda decisionale cambia e diventa non solo più efficace, ma spesso più inclusiva, dando spazio a politiche e misure che a loro volta possono promuovere la parità di genere (Profeta, 2020). I recenti studi sull'introduzione di quote di genere nei consigli di amministrazione di società quotate mostrano come l'ingresso di donne nei board si è associato a una migliore selezione di tutti i componenti del consiglio (uomini e donne), senza effetti negativi sulla performance e con effetti positivi sui rendimenti azionari (Ferrari et al., 2022 per l'Italia). L'effetto di selezione è evidente anche negli studi sulla presenza delle donne nelle posizioni decisionali in politica.
Quando parliamo di leadership, i role models hanno un ruolo ancora più importante: le donne ai vertici delle aziende, della politica, delle istituzioni, delle università rappresentano non solo una possibilità, ma un risultato, uno stimolo per le giovani e le altre donne, un cambiamento per la cultura delle famiglie, delle aziende e delle istituzioni, una sfida e una vittoria contro gli stereotipi di genere di ogni contesto.

[1] Anche in Italia la percentuale di laureate nella popolazione tra 25 e 34 anni è pari al 35% mentre quella di laureati è il 22% (Eurostat, 2022). Tuttavia, entrambi i valori sono molto inferiori alla media europea pari a 46% e 35% rispettivamente.

PAOLA PROFETA

Bocconi University
Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche

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