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Le sfide di Domenico Scarlatti

, di Giovanni Iudica - ordinario di diritto civile e direttore della Scuola di giurisprudenza della Bocconi
Quella volta contro Roseingrave, al clavicembalo

Domenico Scarlatti (1685 – 1756), pur consapevole del proprio straordinario valore, evitava di darsi arie. Amava al contrario coprire con un velo di ironia il proprio talento di compositore e di straordinario virtuoso del clavicembalo. Riferendosi alle proprie composizioni, veri gioielli musicali che hanno esercitato una notevole influenza su tutta la musica pianistica sino ai giorni nostri, scriveva: "Non aspettarti, o Dilettante o Professor che tu sia, in questi Componimenti il profondo Intendimento, ma bensì lo scherzo ingegnoso dell'Arte, per addestrarti alla Franchezza sul Gravicembalo. Né Viste d'Interesse, né Mire d'Ambizione, ma Ubidienza mossemi a pubblicarli. Forse ti saranno aggradevoli, e più volentieri allora ubidirò ad altri Comandi di compiacerti in più facile e variato stile. Mostrati dunque più umano che critico; e si accrescerai le proprie Dilettazioni". L'invito, avvolto di modestia, di garbo, a mostrarsi "più umano che critico" è formidabile! Ai tempi di Scarlatti i nobili e i cardinali amavano le gare e i cimenti. In tutti i campi: dai tornei a cavallo, alle sfide, meno cruente ma non meno acerrime, tra virtuosi musicali. Celeberrima fu la disfida tra Scarlatti e il più famoso e reputato clavicembalista inglese Roseingrave.

Il Maestro inglese, come tutti gli artisti d'oltralpe attratto dal mito e dall'incanto della patria di tutte le arti, venne in Italia. A Venezia, dicono le cronache, fu invitato da un nobile musicofilo e mecenate e pregato a cimentarsi nel suo palazzo "per dare saggio della sua virtù in una toccata e per il godimento della compagnia". Roseingrave si diede da fare e ricevette uno scrosciante applauso. Poi fu la volta di un giovane dall'aspetto severo, dallo sguardo profondo, con in capo una parrucca nera. Il giovane era rimasto in un angolo della stanza, silenzioso e attento. Pregato di sedere al clavicembalo, il giovanotto, concentratissimo, mise le mani sui tasti e cominciò a suonare. Bastarono pochi accordi per produrre l'incantesimo. Roseingrave ebbe subito la sensazione "che mille diavoli stessero allo strumento: mai prima di allora aveva ascoltato passaggi cosi efficacemente realizzati". L'esecuzione del giovane Scarlatti fu talmente trascinante e perfetta che gettò tutti i concorrenti nello sconforto. Roseingrave disse che "si sarebbe mozzato le dita, se avesse avuto a portata di mano un qualsiasi strumento con cui farlo". Roseingrave in seguito confessò di non aver potuto toccare strumento per un mese. Dopo quell'incontro, Roseingrave divenne intimo amico di Scarlatti e non si staccò quasi mai da lui, sino alla pace di Utrecht. A Domenico Scarlatti capitò di sfidare avversari ben più temibili di Roseingrave, e non sempre gli riuscì di agguantare la vittoria. Una volta perse una sfida all'organo, con Haendel, ma si prese con lui una bella rivincita in quella al clavicembalo. Ma ciò che più conta è che Scarlatti vinse la sfida più difficile di tutte, quella con la propria vita. Eccone il bilancio: "Non mi posso lamentare della vita che ho vissuto. Ho colto tanti applausi a Roma, a Napoli, nelle sabbie di Londra, nella luce ardente della Spagna, perché sapevo fare bene i capricci sulla tastiera. A 24 anni entrai in gara con un giovane che si chiamava Haendel e che era stimato un prodigio e lo vinsi al cembalo, come lui mi vinse all'organo. Vissi sereno e festeggiato, e forse ebbi un po' di vena e molta fortuna".