Le ragazze studiano bene, ma le cose sbagliate
Non serve un futurologo per prevedere che l'anno scolastico che si apre in questi giorni si concluderà con risultati migliori per le femmine che per i maschi, con un maggior numero di diplomate che di diplomati e, a catena, con più laureate che laureati. La catena, però, si fermerà qui, perché il migliore rendimento femminile, in Italia, non si traduce in migliori opportunità di lavoro, né in una maggiore presenza femminile nelle posizioni di maggiore prestigio.
"Il sorpasso nel numero di diplomati risale al 1981", spiega Cristina Bombelli, che dirige il Laboratorio Armonia della Sda Bocconi, "e la tendenza si è fatta sempre più netta con il tempo". Nel 2002 avevano un diploma il 65,3% dei maschi di 19 anni e il 75,7% delle femmine e, a 25 anni, erano laureati il 13,8% dei maschi e il 17,8% delle femmine.
Lo scostamento non è dovuta tanto a disomogeneità nell'accesso ai diversi gradi di istruzione, quanto a un marcato differenziale di rendimento. Secondo una ricerca dell'Iprase Trentino, per esempio, nell'anno scolastico 2003-2004 nelle scuole superiori della provincia il 9,4% dei maschi, contro il 4,9% delle femmine, stava ripetendo una classe.
"Le cause del miglior rendimento vanno individuate in alcune qualità tipicamente femminili. Le donne sono più metodiche, rispettose dell'autorità, capaci di impegno e concentrazione", valuta Bombelli. "Dal punto di vista sociale, poi, è cambiato il modello sociale e solo negli ultimi decenni le famiglie sono disposte a investire anche sulle figlie femmine".
Il problema è che le ragazze, al momento del passaggio all'università, si ghettizzano nelle discipline con meno prospettive occupazionali. "Studiano con successo, ma le cose sbagliate", sintetizza Bombelli.
Nell'anno accademico 2002/2003 l'83,3% degli iscritti a ingegneria erano maschi e l'87,9% di quelli iscritti a discipline legate all'insegnamento femmine. A un certo equilibrio si è, invece, arrivati per i corsi del gruppo economico-statistico, con le donne che hanno raggiunto il 46,4%.
"Per chi sceglie le facoltà preferite dalle imprese si pone, invece, il problema di un mondo del lavoro ancora piuttosto discriminante, in cui nelle segreterie ci sono solo donne e i venditori sono quasi solo uomini", prosegue Bombelli. "Dal momento che le loro qualità, a scuola e all'università, hanno sempre ricevuto il giusto riconoscimento, le ragazze non sono preparate ad affrontare questo tipo di difficoltà. Il risultato è che la loro presenza si va assottigliando a mano a mano che si salgono i gradini della piramide gerarchica. Le donne sono solo circa un terzo dei direttivi-quadri e un quarto dei dirigenti. In questi casi si parla di segregazione verticale e io ne vedo il motivo principale nell'irrazionale paura per lo spettro della maternità. Gli imprenditori italiani sono quelli che la temono di più al mondo, anche a fronte di una natalità ormai ridottissima".
La situazione migliora un po' nelle posizioni imprenditoriali: sempre più spesso l'impresa di famiglia non è più ereditata dai soli figli maschi o addirittura dai generi, come accadeva fino a poco tempo fa. "In questo caso i fattori in gioco sono due: il richiamo del sangue e la maggiore flessibilità di cui una donna imprenditrice può godere rispetto a una manager".
Questo approfondimento è collegato al Focus Riparte la scuola e i professori imparano a fare fund raising