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Colombiana cresciuta a Londra, torna a otto anni a Bogotà per poi spostarsi, negli anni, in Italia, in Brasile e poi ancora in Colombia, dove oggi, dopo molteplici esperienze in azienda, è Gerente del Bronx Creative District per conto della città

Nella carriera di Monica Ramirez Hartmann, fatta di tanti sentieri, c’è un prima e dopo Bogotà. «Dopo anni come manager in aziende private sono diventata Gerente del Bronx Creative District, è lì ho capito davvero qual era la mia strada: riuscire ad avere un impatto, rigenerare». Colombiana di origini ma cresciuta in Inghilterra, Ramirez Hartmann torna a Bogotà con la famiglia quando è ancora una ragazzina. Ricorda: «La Colombia negli anni Ottanta era un paese difficile. Non mi rendevo pienamente conto di tutte le dinamiche ma c’era la paura in strada, la guerriglia, il narcotraffico e tanta povertà». 

Superato lo spaesamento iniziale dacché parlava in prevalenza inglese, conclude l'università a Bogotà laureandosi in business. «Ero brava negli studi ma ricordo che al tempo mi sentivo un po' persa, non ero sicura di aver trovato la mia strada. Mi piaceva però il fatto che studiare business significasse connettere tra loro ambiti diversi dal marketing alla finanza». Tra il 1994 e il 1995 lavora in Citibank e nel marketing in IBM poi nel 2000 la scelta di trasferirsi in Italia, complice l’amore. «Avevo conosciuto quello che sarebbe stato il mio primo marito e ho deciso d’impulso di fare le valigie. Così sono arrivata a Milano e qui ho deciso di iscrivermi ad un MBA in ambito business». La scelta ricade sulla Bocconi dove entra in una classe dal respiro internazionale. «Eravamo una settantina. Ho conosciuto persone di paesi in cui non ero mai stata, di culture che non conoscevo prima. Per me è stato incredibile: avevo 25 anni e mi si è aperto un mondo». 

Decide così di dire sì a un progetto che coinvolge più aziende, tra cui Ford, a Sao Paolo in Brasile. Si occupa di sviluppare le attività legate ai sistemi di tracking per ritrovare le auto rubate. «Era un’iniziativa molto interessante ma con il crollo dell’economia brasiliana il progetto viene cancellato e io resto in sospeso». La scelta è allora ricominciare in Colombia con il marito. «Sono tornata a casa e ho trovato lavoro come general manager, a 28 anni, in un’azienda di prodotti chimici. «Un secondo MBA perché per me è stata la prima vera possibilità di integrare tutto quello che avevo imparato. Ero poi la manager di riferimento, una gestora che prende le decisioni. Penso che quella sia stata la svolta, l'esperienza che mi ha fatto credere nelle mie capacità nel gestire l'azienda». 

Con la maternità arriva la decisione di fermarsi per due anni e dedicarsi alla famiglia. «Non rimpiango la scelta. È un MBA anche la maternità, impari tante cose. Quando mio figlio aveva due anni abbiamo divorziato e lì è scattata in me la molla per cambiare ancora». Comincia così a lavorare in Invest in Bogotá dove rimane quattro anni e dove conosce l’attuale marito. «L'agenzia era un ponte tra pubblico e privato e si occupava di cercare delle aziende internazionali pronte ad investire in Colombia. Il che significava far conoscere il mio paese fuori dai suoi confini». Un lavoro tra culture diverse che la porta a viaggiare e poi a lavorare all’estero: sarà per cinque anni Senior Business Development Manager per l’Australian Trade and Investment Commission. 

La sua quinta vita, come la definisce lei, inizia però con una telefonata inaspettata da Bogotà. «Mi chiama il sindaco appena eletto dicendo che stava cercando una persona per fare un lavoro nuovo nella struttura di governo della città. Serviva una manager del centro storico per valorizzare alcune aree disagiate. Dico sì, un po’ per coraggio, un po' forse per pazzia». Ed è così che la città cambia. Nel 2016, duemila agenti di polizia ripuliscono le vie malfamate del centro di Bogotá, noto come "il Bronx" e nel 2018 nasce il Distretto Creativo finanziato dal comune. Che significa concerti, eventi, spazi per le industrie creative e per i giovani della città. «Da quando il mio impegno è terminato ho cambiato più volte lavoro ma sono orgogliosa nel vedere il Distretto Creativo ancora attivo, al di là dei colori politici delle giunte cittadine. Nei due anni successivi mi sono occupata di agevolazioni fiscali per le aziende che investono in progetti sociali e ora mi sto focalizzando su business, istruzione e cultura». Ai giovani appassionati di beni culturali suggerisce quindi di ampliare la prospettiva. «Ho imparato che dietro al mondo culturale deve esserci un business solido perché si possano realizzare le cose. Scindere arte e business è un errore,  serve la sostenibilità economica e c’è grande bisogno di manager culturali attenti a questi aspetti».