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Opinioni Lavoro

Lavori da amare, non da cui scappare

, di Rossella Cappetta
Stiamo assistendo a una trasformazione epocale del lavoro. Dobbiamo cogliere l'occasione per progettare lavori che siano belli per le persone e produttivi per le imprese e le comunita'. E per farlo, servono gli strumenti del management

Di lavoro parliamo male. Indipendentemente da cosa i dati mostrano, alimentiamo sconsideratamente il mito della fuga ('grandi dimissioni', 'quite quitting', 'southworking', per citare alcune dei termini coniati di recente). E dire che le persone lasciano il lavoro perché aspirano a una vita fatta, di divani e spiagge sudamericane significa sostenere che nulla serve tranne lavorare il meno possibile o non lavorare affatto. Ci assolviamo così rispetto alla qualità dei lavori che abbiamo progettato fino a ora e ci evitiamo la fatica di riprogettare lavori migliori. E, invece, il lavoro è fatto identitario dell'umano. Siamo quindi responsabili di assicurare a tutti lavori dignitosi, ma anche di progettare lavori di cui le persone possano innamorarsi, con cui si possano identificare e che contribuiscono alla loro crescita.

Sul lavoro agiamo con strumenti insufficienti. Gli strumenti che continuiamo a utilizzare sono quelli di sempre: strumenti economici e giuslavoristici. Questi, utili e rilevanti certamente, non bastano più. Non la risolveremo continuando a occuparci di lavoro come insieme indistinto di attività che la persona ripete per riempire 40 o 35 ore settimanali e ottenere un salario. Questo indifferenziato 'posto' di lavoro può essere oggetto di tutela ma non di riqualificazione.

Per riqualificare i lavori, ci servono gli strumenti del management. E accanto alle politiche pubbliche e alle norme ci servono le politiche aziendali. E ci servono le imprese, che sono i luoghi dove i lavori quotidianamente accadono. E dove i lavori possono e devono essere riqualificati.

Occuparsi di qualità dei lavori significa agire sulle sue dimensioni caratterizzanti ma dimenticate e ora divenute urgenti: le caratteristiche dei compiti (la discrezionalità, la varietà, l'interdipendenza con gli altri lavori, l'integrità e la misurabilità di risultato); i luoghi e i tempi dello svolgimento delle attività; le competenze necessarie e la loro formazione continua; l'accesso alle informazioni e la partecipazione alle decisioni; i supporti di corporate welfare.

Lavori di qualità devono generare un risultato di senso compiuto; devono caratterizzarsi per varietà e ricchezza delle attività da svolgere, per discrezionalità rispetto alle modalità di raggiungimento del risultato, per disponibilità delle informazioni necessarie a prendere decisioni; devono contribuire a rispondere ai bisogni di socialità delle persone. E questo deve valere per i lavori in presenza, ma deve valere ancor più per i lavori in remoto, che sono (e dobbiamo ricordarcelo sempre) a maggiore rischio di banalizzazione e variabilizzazione. Lavori di qualità necessitano di un patrimonio ampio e solido di competenze e, quindi, non possono prescindere da percorsi di formazione di massa derivanti dalla sinergia fra politiche aziendali e politiche pubbliche attive. Lavori di qualità devono svolgersi in condizioni che garantiscono sicurezza fisica e benessere per la persona. E, quindi, devono essere supportati da un insieme ampio di leve di corporate welfare che rispondano alle esigenze nell'arco di vita della persona (dai congedi parentali agli asili all'assistenza sanitaria, etc.).

E, però, la necessità di passare da un monolitico e generico lavoro a pluridimensionali e specifici lavori apre a una nuova e ancor più complessa questione. In passato abbiamo chiesto sistemi HR formalizzati proprio a superare in impresa la discrezionalità dei trattamenti dei capi. Oggi la volontà di considerare le diversità dei lavori e delle storie e aspettative individuali sfida la necessità di unitarietà e standardizzazione dei sistemi. Ai sistemi HR si sono affiancate le prassi D&I. E questo significa che mentre progettiamo lavori di qualità dobbiamo porre attenzione alle condizioni specifiche delle persone che li svolgeranno. Ma dobbiamo anche assicurarci che la risposta differenziata alle aspettative delle persone non metta in discussione le condizioni di equità (abbiamo già avuto esempi in passato di prassi progettate per considerare esigenze specifiche di lavori e di persone, che si sono poi tramutate in prassi 'segregative' -si pensi alle implicazioni del contratto part-time per le donne e a un possibile simile effetto del lavoro da remoto).

E, insomma, le trasformazioni degli ultimi anni evidenziano in modo spietato la fragilità del lavoro senza qualità e ci sfidano. È adesso il momento di rispondere usando insieme strumenti economici, giuslavoristici e organizzativi.

ROSSELLA CAPPETTA

Bocconi University
Dipartimento di Management e Tecnologia