L’apertura delle frontiere ha alimentato l’estrema destra svizzera
All’inizio degli anni Duemila, la Svizzera ha aperto le frontiere ai lavoratori dei Paesi vicini dell’UE, aspettandosi benefici economici e legami più forti con l’Europa. Invece, questa mossa ha alimentato un forte aumento dei consensi per i partiti di estrema destra e anti-immigrati, nonostante l’assenza di effettive minacce economiche, culturali o di sicurezza. Un recente studio di Ala Alrababah (Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche, Bocconi) con Andreas Beerli, Dominik Hangartner e Dalston Ward (tutti del Politecnico Federale di Zurigo), pubblicato sull’American Political Science Review, rileva che questo spostamento dei consensi non è stato una reazione alle reali minacce causate dall’immigrazione, ma piuttosto il risultato di una narrazione anti-immigrati elaborata dalle élite politiche.
La decisione della Svizzera di aprire il proprio mercato del lavoro ha fatto seguito a un accordo con l’Unione Europea, permettendo ai cittadini delle vicine Francia, Germania e Italia di vivere e lavorare nel Paese (e viceversa, ovviamente). Questo cambiamento di politica ha portato a un aumento dei lavoratori transfrontalieri, soprattutto nei comuni vicini ai confini. L’aumento è stato significativo: i lavoratori stranieri nelle città svizzere di confine sono aumentati in media del 14%. Tuttavia, a differenza di altri casi in cui l’immigrazione scatena ansie culturali dovute a differenze religiose o etniche, i nuovi arrivati in Svizzera assomigliano molto alla popolazione locale.
Anche le preoccupazioni economiche, un altro fattore causale frequente del sentimento anti-immigrati, non si sono concretizzate. La ricerca non ha portato alla luce alcuna prova che l’afflusso di lavoratori stranieri abbia influito negativamente sui salari o sui tassi di occupazione svizzeri. Al contrario, l’economia svizzera è rimasta forte e anzi le imprese svizzere, in particolare nei settori ad alta intensità di conoscenza, hanno beneficiato dell’espansione del mercato del lavoro. Le indagini condotte nell’arco di due decenni mostrano che i cittadini svizzeri delle regioni di confine non hanno percepito maggiori minacce economiche, né hanno espresso maggiori preoccupazioni per la disoccupazione o per l’aumento del costo della vita.
Nonostante ciò, il sostegno ai partiti anti-immigrati è aumentato. Nei comuni di confine, i partiti di estrema destra hanno visto aumentare la loro quota di voti di sei punti percentuali, con un impressionante incremento del 32% rispetto ai livelli pre-liberalizzazione. Questo aumento non ha trovato riscontro nelle aree più lontane dal confine.
Senza una vera crisi economica o culturale da sfruttare, perché gli elettori si sono rivolti ai partiti anti-immigrati? I partiti populisti di destra hanno introdotto un nuovo termine per inquadrare l’immigrazione come un problema: "stress da densità". Nato in biologia per descrivere come la sovrappopolazione porti al collasso delle popolazioni animali, il termine è stato riproposto per evocare i timori di sovraffollamento delle città svizzere. Le campagne elettorali hanno collegato l’immigrazione ai trasporti pubblici affollati, alle strade congestionate, all’espansione urbana e persino alle code più lunghe nei centri commerciali. Usando il linguaggio della logistica piuttosto che quello della xenofobia, questi partiti hanno sdoganato la retorica anti-immigrati.
Questo messaggio è stato particolarmente efficace nelle città di confine, dove i livelli di immigrazione erano aumentati in modo più evidente. Tuttavia, lo studio ha trovato poche prove che il presunto problema del sovraffollamento sia effettivamente peggiorato dopo l’apertura dei confini. La congestione del traffico, uno degli indicatori più tangibili dello "stress da densità", non è aumentata in modo sproporzionato nei comuni interessati. Al contrario, i partiti anti-immigrati hanno amplificato la narrazione attraverso discorsi, campagne mediatiche e proposte legislative centrate sulle città di confine.
Il caso della Svizzera ha una valenza generale sulle politiche di immigrazione: l’opposizione pubblica all’immigrazione non è sempre causata da preoccupazioni materiali o culturali. Al contrario, le élite politiche giocano un ruolo chiave nel plasmare le narrazioni anti-immigrati e la percezione pubblica. Questo fenomeno non è limitato alla Svizzera. Nel Regno Unito, i promotori della Brexit hanno inquadrato l’immigrazione come una crisi infrastrutturale, sostenendo che la Gran Bretagna aveva raggiunto un "punto di rottura". Negli Stati Uniti, Donald Trump ha usato una retorica simile, dichiarando che "il nostro Paese è pieno" per giustificare le sue politiche d’immigrazione intransigenti.
L’esperienza svizzera può essere utile anche per altre nazioni alle prese con le polemiche sull’immigrazione. Essa mostra come i partiti politici possano sfruttare anche lievi spostamenti demografici associati all’immigrazione dallo stesso contesto culturale, linguistico e religioso per alimentare il sentimento anti-immigrati. Sebbene molti pensino che il populismo di destra abbia origine dalle difficoltà economiche o dagli attriti culturali, questo studio suggerisce che le narrazioni politiche possono essere altrettanto influenti.